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Tumore del fegato: cresce l'interesse per l'adroterapia

L'uso dell’adroterapia per il tumore al fegato si sta affermando nei casi in cui il trapianto non è possibile

Carcinoma epatocellulare: interesse in aumento per l’adroterapia

19 mar/20

Il carcinoma epatocellulare è una patologia in aumento nel mondo e una delle principali cause di morte per tumore.
La chirurgia, che comprende sia la resezione sia il trapianto di fegato, è la scelta terapeutica raccomandata, se fattibile. Purtroppo, però, molti pazienti risultano non eleggibili all’intervento in quanto la diagnosi viene spesso posta quando la malattia si trova già in uno stadio avanzato o il paziente ha un’età tale da controindicare l’intervento. In altri casi, la presenza di cirrosi, di comorbilità e, in generale, le cattive condizioni del paziente impediscono di ricorrere alla chirurgia.
In questi casi, altre possibili opzioni terapeutiche riconosciute per la patologia sono la chemioembolizzazione epatica transarteriosa (TACE) e la termoablazione a radiofrequenza.
In questo scenario terapeutico si è inserita, in tempi relativamente recenti, anche la radioterapia, in particolare la radioterapia stereotassica e l’adroterapia con protoni e ioni carbonio, tecniche alle quali è associata una minore incidenza di tossicità rispetto alla radioterapia tradizionale con fotoni.


Terapie a confronto
Uno studio condotto in Giappone ha messo a confronto la radioterapia con ioni carbonio (CIRT, carbon-ion radiotherapy) con la chemioembolizzazione epatica transarteriosa in termini di outcome clinici [1].
Sono stati analizzati retrospettivamente i dati di 477 pazienti con diagnosi confermata di singolo carcinoma epatocellulare, naïve alle terapie e trattati con una delle due tecniche tra il 2007 e il 2016. Per tutti i pazienti inclusi, la CIRT o la TACE doveva essere il trattamento primario per la patologia: con questi criteri di inclusione sono stati selezionati 31 pazienti che avevano ricevuto la radioterapia con ioni carbonio e 23 trattati con la chemioembolizzazione epatica transarteriosa.
Applicando la metodologia statistica del propensity score matching, i ricercatori hanno individuato e analizzato 17 coppie di pazienti, formate da un rappresentante per ogni gruppo con caratteristiche omogenee.
Il follow up mediano è stato di 43 mesi nel gruppo trattato con CIRT e di 32 in quello trattato con TACE. A 3 anni, nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto la CIRT rispetto a quelli trattati con TACE, il tasso di sopravvivenza (OS, overall survival) è stato del 88% vs 58%, il tasso di controllo locale del 80% vs 26% e la sopravvivenza libera da malattia (PFS, progression-free survival) del 51% vs 15%.
Sebbene necessitino di conferma su popolazioni più ampie di pazienti, i risultati dello studio sembrano suggerire che la CIRT sia associata a migliori outcome clinici rispetto alla TACE nei pazienti con un singolo carcinoma epatocellulare e non trattati in precedenza.


Un altro studio statunitense ha invece messo a confronto la protonterapia e la radioterapia stereotassica corporea (SBRT, stereotactic body radiation therapy) in pazienti con carcinoma epatocellulare in stadio iniziale e non operabile [2].
I dati dei pazienti trattati con una delle due terapie tra il 2004 e il 2015 sono stati estratti dal National Cancer Database, selezionando i pazienti candidabili soltanto al trattamento con radioterapia a scopo non palliativo.
Con questi criteri sono stati individuati 71 pazienti che avevano ricevuto la protonterapia e 918 trattati con SBRT. Considerando l’intera popolazione analizzata, il follow up mediano è di 45 mesi e il valore mediano della OS è di 25,5 mesi.
Applicando anche in questo caso l’abbinamento tra i pazienti dei due gruppi tramite il propensity score matching (56 pazienti per gruppo), la OS mediana risulta di 32,2 mesi per i pazienti trattati con protonterapia rispetto a 15,7 mesi per i pazienti che hanno ricevuto la SBRT. A 1 anno, il tasso di sopravvivenza è del 76,5% per la protonterapia e del 64,3% per la SBRT; a 3 anni questi valori sono, rispettivamente, 36,7% e 30%.
Inoltre, l’analisi statistica ha indicato che la protonterapia è un fattore associato in modo indipendente a una sopravvivenza più lunga rispetto alla SBRT, nonostante i pazienti trattati con adroterapia nello studio presentassero fattori prognostici più sfavorevoli. In ogni caso, specificano gli autori, questi risultati incoraggianti vanno confermati con studi prospettici.


Indicazioni positive per l’adroterapia
Infine, una revisione sistematica condotta da un gruppo di ricerca di diversi centri Europei, tra cui il Dipartimento di Oncologia ed Emato-oncologia dell’Università di Milano e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), ha puntato l’attenzione sugli outcome relativi al paziente del trattamento con adroterapia del carcinoma epatocellulare [3].
Sono stati selezionati 16 studi in cui l’adroterapia era stata impiegata per trattare un carcinoma epatocellulare, di cui 11 retrospettivi, per un totale di 1.516 pazienti. La protonterapia è stata valutata in 11 studi, la CIRT in 4 ed entrambe le terapie nei 2 lavori restanti.
A 1 anno, la media pesata tra i diversi studi del tasso di OS è 86%; questo valore scende a 62% a 2 anni, a 59% a 3 anni e a 35% a 5 anni. Per il controllo locale, invece, il valore pesato è stabile, con un valore medio superiore a 85%.
Per quanto riguarda le tossicità, la qualità delle evidenze è limitata in quanto alcuni studi riportano dati incompleti: per le tossicità acute di grado 3 il tasso è del 6%, per quelle tardive è inferiore al 4%.
In conclusione, quindi, l’adroterapia sembra in grado di garantire un elevato controllo di malattia e una buona sopravvivenza, associati a una bassa incidenza di tossicità correlate al trattamento.

 

Reference

1. Shiba S, Shibuya K, Katoh H, et al. A comparison of carbon ion radiotherapy and transarterial chemoembolization treatment outcomes for single hepatocellular carcinoma: a propensity score matching study. Radiat Oncol. 2019 Aug 2;14(1):137.

2. Hasan S, Abel S, Verma V, et al. Proton beam therapy versus stereotactic body radiotherapy for hepatocellular carcinoma: practice patterns, outcomes, and the effect of biologically effective dose escalation. J Gastrointest Oncol. 2019 Oct;10(5):999-1009.

3. Spychalski P, Kobiela J, Antoszewska M, et al. Patient specific outcomes of charged particle therapy for hepatocellular carcinoma - A systematic review and quantitative analysis. Radiother Oncol. 2019 Mar;132:127-134.

 

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