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ADROTERAPIA: NUOVE APPLICAZIONI ALLO STUDIO

Trattamenti con adroni in presenza di malattie autoimmuni e patologie da deficit di riparo del DNA

ADROTERAPIA: NUOVE APPLICAZIONI ALLO STUDIO

06 dic/21

In ambito oncologico, il trattamento radioterapico dei pazienti con patologie autoimmuni richiede molta cautela: alcune evidenze cliniche, infatti, sembrano indicare che particolari condizioni di disregolazione del sistema immunitario possano influire sulla tollerabilità della radioterapia, aumentando l’incidenza di tossicità nei pazienti trattati per patologie tumorali.

In particolare, una recente revisione sistematica della letteratura [1] ha analizzato 18 studi, indicando un rischio di tossicità acuta e tardiva nei pazienti con malattie autoimmuni trattati con radioterapia con fotoni del 10-15% più alto rispetto ai soggetti che non presentavano questo tipo di patologie. Va sottolineato, però, che questo non costituisce una controindicazione assoluta all’utilizzo della radioterapia nei pazienti con malattie autoimmuni, anche perché nella maggior parte degli studi valutati era contemplato l’impiego di tecniche radioterapiche oggi considerate obsolete, che rilasciavano dosi considerevoli nei tessuti sani circostanti il tumore.
Le tecniche più moderne, come la radioterapia ad intensità modulata (IMRT, intensity-modulated radiotherapy) e la radioterapia stereotassica, e ancor di più l’adroterapia, sono in grado di concentrare il rilascio della dose sul bersaglio tumorale, risparmiando i tessuti e gli organi circostanti e quindi, potenzialmente, riducendo il rischio di tossicità.

Adroterapia e malattie autoimmuni: lo studio del CNAO
Poiché, però, non sono ancor disponibili evidenze sul profilo di tossicità dell’adroterapia nei pazienti con malattie autoimmuni, un gruppo di ricercatori del CNAO, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei tumori ha condotto uno studio caso-controllo con l’obiettivo di valutare se i pazienti con malattie autoimmuni trattati per patologie oncologiche con protonterapia e CIRT (carbon-ion radiotherapy) abbiano una maggiore incidenza di complicanze indotte dal trattamento [2].
I pazienti sono stati selezionati a partire dal registro del CNAO, che raccoglie i dati di oltre 1.800 pazienti trattati con protoni o con ioni carbonio tra il 2011 e il 2019.
I criteri di inclusione prevedevano una diagnosi di tumore su base istologica o radiologica e di malattia autoimmune, un performance status superiore a 60 (secondo la scala di Karnofsky) ed un periodo di follow-up di almeno 6 mesi dopo la fine della radioterapia con particelle con intento radicale.
In base a questi criteri sono stati individuati 38 pazienti con malattie autoimmuni. Di questi, 20 avevano malattie autoimmuni organo-specifiche (in 11 casi della tiroide, in 8 della pelle), 12 avevano patologie del tessuto connettivo e 5 avevano malattie infiammatorie intestinali: i pazienti di questi due ultimi gruppi erano tutti con malattia non attiva al momento del trattamento radiante.
Ognuno dei soggetti individuati è stato confrontato con due 2 soggetti (76 pazienti totali) con le stesse caratteristiche in termini di tipo di particella utilizzata per il trattamento (protoni, ioni carbonio o entrambi), dose totale e frazionamento, sito trattato, età, sesso e comorbilità (ipertensione e diabete), ma senza malattia autoimmune.
Nella popolazione complessiva (114 soggetti), la maggioranza dei pazienti (60 soggetti, 52,6%) era stata trattata per tumori del distretto cervico-cefalico, gli altri per tumori del basicranio (48, 42,1%) e della pelvi (6, 5,3%).
Per quanto riguarda la tipologia di trattamento, la protonterapia è stata utilizzata in 66 casi (57,9%), alla dose mediana di 66 Gy(RBE); lo schema di frazionamento più frequente è stato quello convenzionale (1,8-2 Gy(RBE) per frazione). Per 42 pazienti (36,8%) è stato effettuato un trattamento con CIRT alla dose mediana di 67,6 Gy(RBE) in 16 frazioni (dose mediana di 4,3 Gy(RBE) per frazione). Infine, 6 pazienti (5,3%) hanno ricevuto un trattamento misto con protoni e ioni carbonio, alla dose mediana totale di 75 Gy(RBE).
L’obiettivo primario dello studio era confrontare l’incidenza di tossicità acute di grado 3 o superiore nei due gruppi. Nella popolazione complessiva sono state rilevate tossicità acute di grado 3 (dermatite e mucosite orale) nel 7% dei pazienti (8), mentre non sono stati registrati eventi di grado superiore. Rispetto al gruppo di controllo, nei pazienti con malattie autoimmuni la frequenza di tossicità acute di grado 3 è risultata più elevata: eventi acuti si sono verificati, infatti, in 6 soggetti con patologia autoimmune (15,8%) e in 2 controlli (2,6%). Tra i soggetti con malattia autoimmune, quelli con patologie del tessuto connettivo e con malattie infiammatorie intestinali hanno sviluppato tossicità acute di grado 3 nel 27,7% dei casi (5 pazienti) rispetto al 2,6% (2 pazienti) dei controlli. Per quanto riguarda le tossicità tardive, eventi di grado 3 sono stati registrati nel 4,4% (5 pazienti) dei soggetti inclusi nell’analisi e nessuno ha sviluppato tossicità di grado superiore. Queste tossicità sono state rilevate in 3 casi (7,9%) e 2 controlli (2,6%). Due pazienti hanno avuto una ripresa della patologia autoimmune, in entrambi i casi una malattia infiammatoria intestinale.
Infine, per quanto riguarda gli outcome clinici, il follow-up mediano nella popolazione complessiva è stato di 30 mesi. A 2 anni la sopravvivenza globale (overall survival, OS) non ha mostrato differenza statisticamente significative tra i casi e i controlli (92% vs 91%), mentre i pazienti con malattie autoimmuni hanno avuto una peggiore sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS): 74% vs 91%.

Gli autori dello studio concludono ritenendo necessario e doveroso un atteggiamento prudente nel trattamento con adroterapia dei pazienti con malattie autoimmuni, data la più alta frequenza di tossicità acute in questo gruppo, dopo la protonterapia o la CIRT come emerso dall’analisi dei dati. Tuttavia, l’assenza di effetti avversi severi e la bassa incidenza di tossicità tardive di grado elevato, rispetto ai dati disponibili in letteratura suggeriscono un approccio che non scoraggi l’impiego dell’adroterapia in questi pazienti, pur con le dovute cautele, in considerazione del beneficio clinico di questa terapia in attesa di futuri studi prospettici.

Immunoterapia e protonterapia: un caso di xeroderma pigmentoso
Lo xeroderma pigmentoso è una genodermatosi rara causata da un difetto genetico autosomico recessivo che provoca un deficit di riparo del DNA. La conseguenza è un’eccessiva suscettibilità ai danni indotti dalle radiazioni ultraviolette che, tra gli altri effetti, aumenta in modo significativo il rischio di sviluppare tumori cutanei in giovane età.
La prevalenza nei paesi dell’Europa occidentale è stimata in 2-3 casi per milione di persone e la rarità della patologia fa sì che non ci sia uno standard di trattamento definito. Al momento, l’approccio indicato prevede un’attenta protezione contro l’esposizione ai raggi ultravioletti e la diagnosi precoce dei tumori della pelle che possono essere trattati con farmaci topici o con il ricorso alla chirurgia.
Per il trattamento dei tumori cutanei in stadio avanzato diversi dal melanoma, anche correlati a patologie come lo xeroderma pigmentoso, l’immunoterapia con anticorpi anti PD-1/PD-L1 ha un ruolo rilevante, mentre l’impiego della radioterapia è oggetto di discussione, data l’alta radiosensibilità dei tessuti di questi soggetti.

Al CNAO è stata fatta la prima esperienza di trattamento di un carcinoma cutaneo a cellule squamose in stadio avanzato con l’anti PD-1 (cemiplimab) in associazione alla protonterapia, in una paziente di 19 anni affetta da xeroderma pigmentoso [3].
L’anamnesi familiare era negativa per la patologia e la storia clinica comprendeva numerosi interventi di escissione di neoformazioni istologicamente accertate come carcinomi cutanei basocellulari e squamocellulari, tra 5 e 14 anni di età.
La paziente è stata visitata per la prima volta al CNAO a dicembre 2018: è stato riscontrato un ampio gonfiore della palpebra superiore destra, esteso fino alla piramide nasale. La biopsia ha indicato un carcinoma a cellule squamose moderatamente differenziato e la TC di stadiazione ha escluso localizzazioni secondarie. La risonanza magnetica del massiccio facciale ha mostrato una lesione infiltrante (62×47 mm) nella regione della palpebra superiore destra, estesa alla parete mediale della cavità orbitaria destra, che provocava la dislocazione del bulbo oculare; la lesione interessava anche il setto e la cavità nasale destra.
La valutazione multidisciplinare ha escluso l’intervento chirurgico e la paziente ha ricevuto la protonterapia alla dose complessiva di 59,4 Gy in 33 frazioni tra gennaio e marzo 2019, con una buona tollerabilità e una significativa risposta clinica e radiologica. La risonanza magnetica effettuata dopo un breve follow-up ha indicato una sostanziale stabilità di malattia.
A giugno 2020 la nuova risonanza magnetica ha mostrato una progressione a livello linfonodale laterocervicale, con una lesione sottomandibolare (2×2 cm), e la paziente ha iniziato il trattamento con cemiplimab al dosaggio di 350 mg ogni 3 settimane. Dopo le prime due infusioni sono stati segnalati episodi di diarrea di grado 1, che non hanno però reso necessaria l’interruzione della terapia. Dopo sette somministrazioni la malattia si è stabilizzata sia clinicamente sia radiologicamente. Il trattamento è stato ben tollerato e la paziente non è più stata sottoposta ad altre escissioni chirurgiche.

Rispetto alla radioterapia con fotoni, anche se effettuata con le tecniche più moderne, la protonterapia è caratterizzata da una migliore conformità di dose al volume bersaglio, quindi, permette di limitare la dose irradiata al tessuto circostante radiosensibile, riducendo il rischio di tossicità tardive. L’immunoterapia con cemiplimab, in questo caso, è stata utilizzata per trattare il tumore cutaneo in progressione dopo l’adroterapia e ha permesso di stabilizzare la malattia con una buona tollerabilità e senza necessità di ulteriori interventi chirurgici.

Reference
1. Lin D, Lehrer EJ, Rosenberg, J, et al. Toxicity after radiotherapy in patients with historically accepted contraindications to treatment (CONTRAD): An international systematic review and meta-analysis. Radiother Oncol. 2019;135:147-152.
2. Riva G, Vischioni B, Gandini S, et al. Particle beam therapy tolerance and outcome on patients with autoimmune diseases: a single institution matched case-control study. Cancers (Basel) 2021 Oct 15;13(20):5183.
3. Rubatto M, Merli M, Avallone G, et al. Immunotherapy in Xeroderma Pigmentosum: a case of advanced cutaneous squamous cell carcinoma treated with cemiplimab and a literature review. Oncotarget. 2021 May 25;12(11):1116-1121.

 

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