NON SOLO TERAPIA: CONTRASTARE LA VIOLENZA ANCHE NEI PERCORSI DI CURA
NON SOLO TERAPIA: CONTRASTARE LA VIOLENZA ANCHE NEI PERCORSI DI CURA
25 nov/25
In occasione della Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, la dott.ssa Veronica Borelli, psicologa e psicoterapeuta, ci racconta la sua esperienza in qualità di professionista.
Veronica, lei è psicologa e psicoterapeuta presso Fondazione CNAO, nel suo lavoro ha incontrato donne che affrontano contemporaneamente la malattia oncologica e la violenza di genere: quali bisogni emergono da queste storie, quale ruolo può avere lo spazio terapeutico nel riconoscere, accogliere e proteggere queste pazienti, e potrebbe raccontare qualche esempio di caso che le è capitato?
Nella pratica clinica presso la Fondazione CNAO mi è capitato di incontrare donne che, oltre alla complessità della malattia oncologica, alla lontananza da casa per poter effettuare i trattamenti, portavano con sé anche storie di violenza di genere. Violenze che possono essere fisiche, psicologiche, economiche, relazionali e a volte anche violenze sui figli minori. Dalle storie che ho raccolto ho notato che spesso le pazienti avevano voglia e bisogno di raccontarsi, di trovare uno spazio di ascolto e di accoglienza non giudicante.
La malattia oncologica può, infatti, diventare il momento in cui la fragilità si amplifica, ma anche uno spazio in cui il dolore può essere finalmente legittimato e riconosciuto. Per alcune pazienti, l’esperienza della diagnosi coincide con un punto di rottura: una consapevolezza crescente di non poter più sostenere relazioni violente, controllanti o anche solo disfunzionali. Il ruolo terapeutico in questi casi comporta che, accanto al vissuto oncologico, si debba accogliere la persona nella sua totalità, riconoscendo che la violenza subita può influenzare il modo in cui la persona vive la malattia, l’aderenza ai trattamenti, la percezione di sé e del proprio corpo e la possibilità di affidarsi ai curanti. E’ fondamentale, inoltre, creare uno spazio sicuro in cui la donna si senta libera di raccontare cosa vive, senza giudizio e con la giusta riservatezza.
La violenza di genere lascia spesso delle ferite profonde, sia visibili che nascoste. In aggiunta ad una diagnosi oncologica si possono innescare quindi meccanismi di profonda vergogna, senso di colpa, perdita di identità e sensazione di isolamento. Il lavoro terapeutico mira quindi a restituire alla persona la possibilità di sentirsi nuovamente soggetto della propria vita. E’ fondamentale, pertanto, che vi sia un’equipe sanitaria formata per riconoscere segnali di allarme, per garantire un percorso integrato e per orientare, quando necessario, verso servizi specifici per la protezione ed il supporto di vittime di violenza.
E’ stato il caso di S., paziente proveniente dalla Sicilia. Mi ha subito colpito il fatto che una ragazza così giovane venisse da così lontano senza alcun accompagnatore e che decidesse di fermarsi da sola per tutta la durata del trattamento (oltre due mesi). Solo dopo aver approfondito la propria storia di vita ha avuto il coraggio di dirmi che si allontanava da un ex compagno violento che aveva denunciato tre volte per stalking ma sul quale purtroppo le forze dell’ordine non avevano ancora fatto nulla. In questo caso la cura, così lontano da casa, era diventata quasi una salvezza, una fuga e un momento per poter pensare a se stessa senza doversi continuamente guardare le spalle.
In un altro caso invece una mamma si è trovata ad affrontare le cure del figlio di 6 anni da sola, allontanandosi da un marito e da un padre che più volte aveva agito violenze fisiche e psicologiche nei confronti della donna e del bambino. In questa occasione fondamentale è stato fornire supporto alla donna e consentirle un aggancio sul territorio per poter programmare il rientro a casa in sicurezza.
Nel caso di T., invece, la malattia oncologica è stata l’occasione per aprire gli occhi su una relazione coniugale da tempo maltrattante e non supportiva. La paziente ha avuto la forza di affrontare tutto il trattamento da sola, di chiedere un supporto psicologico, in seguito anche un supporto legale al fine di allontanarsi da un rapporto abusante.
In tutti questi casi, quello di cui hanno avuto bisogno queste persone non è stato solamente la cura clinica, ma anche riconoscimento, protezione e ascolto. Tutte queste pazienti hanno avuto bisogno di percepire comprensione e non minimizzazione di ciò che avevano vissuto o stavano vivendo e hanno sentito di poter parlare liberamente senza paure di eventuali ripercussioni. Il clima accogliente che spesso i pazienti riferiscono di respirare in CNAO ha sicuramente favorito una loro apertura e ha fatto emergere il bisogno di aiuto.