I professionisti sanitari che si occupano di adroterapia devono attenersi a norme di comportamento che salvaguardino il paziente oncologico, tenendo conto in particolare dei concetti di dignità, integrità e vulnerabilità
I problemi etici connessi alle tecnologie biomediche emergenti
28 lug/23
Nella medicina contemporanea, l’obiettivo fondamentale è quello di fornire ai pazienti il miglior trattamento disponibile secondo le linee guida e i protocolli a disposizione per le diverse patologie, tenendo in considerazione i progressi della ricerca e della tecnologia.
Quando però si tratta di offrire trattamenti medici innovativi, come l’adroterapia, occorre una rigorosa valutazione della loro sicurezza in ambito di sperimentazione clinica. A questo ad esempio si riferisce l’articolo 16 della Dichiarazione di Helsinki in ambito medico generale, redatta a cura della World Medical Association (WMA). Tale dichiarazione rappresenta, a livello internazionale, il documento di riferimento per i principi etici in ambito biomedico. Nel 2016, a 50 anni dalla prima stesura, è stata pubblicata la sua ottava versione che tocca alcuni temi rilevanti anche per l’adroterapia.
L’articolo appena citato recita infatti: “Nella pratica clinica e nella ricerca biomedica, la maggior parte degli interventi implica rischi e oneri. La ricerca biomedica che coinvolge esseri umani può essere condotta solo se la rilevanza dell’obiettivo è maggiore dei rischi e degli oneri per i soggetti coinvolti nella ricerca”, mentre l’articolo successivo prescrive che “tutte le ricerche biomediche che coinvolgono esseri umani devono essere precedute da un’attenta valutazione di rischi e oneri prevedibili per individui e gruppi coinvolti nella ricerca, rispetto ai prevedibili benefici per loro e per altri individui o gruppi affetti dalla condizione in studio”.
Ciò implica, in altre parole, che quando viene effettuata una terapia innovativa come ad esempio l’adroterapia dovrebbero essere messe in atto tutte le misure per minimizzare i rischi, e che quelli potenziali devono essere costantemente monitorati, valutati e documentati.
I principi cardine della bioetica
Le norme che devono regolare il comportamento dei professionisti che si occupano di adroterapia non possono prescindere dal più ampio quadro della bioetica contemporanea. Un classico modello di tradizione anglosassone formulato nel 1979 da Tom Beauchamp e da James Childress nel loro testo Principi di etica biomedica, basa la bioetica sui quattro principi cardine di autonomia, non maleficenza, beneficenza e giustizia.
Il principio di autonomia riconosce il diritto di ciascun cittadino all’autodeterminazione, in particolar modo nelle scelte che riguardano la propria salute. Il principio di non maleficenza si rifà in modo esplicito alla massima del giuramento di Ippocrate Primum non nocere, secondo cui il primo dovere del medico è quello di non peggiorare le condizioni di salute del proprio paziente. Strettamente legato al precedente è il principio di beneficenza, secondo cui l’azione del personale sanitario deve perseguire sempre l’interesse del paziente. Infine il principio di giustizia, riconosce a tutti i pazienti il diritto a ricevere lo stesso trattamento, senza discriminazioni di sorta, a meno che le loro condizioni non lo impediscano.
Declinato nella pratica clinica così come nella conduzione dei trial di ricerca nell’ambito dell’adroterapia, il principio di autonomia implica la redazione di un rigoroso consenso informato, che deve essere completo, comprensibile e permettere al paziente di esprimere chiaramente la propria volontà rispetto al trattamento a cui si sta sottoponendo. Per quanto riguarda il secondo e il terzo principio, occorre considerare che l’adroterapia è un trattamento oncologico di precisione, ancora oggetto di studi di sperimentazione clinica, che si sta dimostrando vantaggioso rispetto alla radioterapia tradizionale nel minimizzare la tossicità ai tessuti sani, specie per i tumori radioresistenti o localizzati in sedi critiche. Questo significa che spesso il trattamento adroterapico viene offerto a pazienti che non hanno ulteriori alternative terapeutiche dopo il fallimento delle terapie convenzionali. Di conseguenza, l’adroterapia sembra soddisfare tanto il principio di non maleficenza quanto quello di beneficenza.
Più delicata è l’aderenza al principio di giustizia. Nel contesto dell’innovazione tecnologica, la tensione ideale verso un trattamento reso disponibile nel modo più equo possibile si scontra con il fatto che gli strumenti altamente specializzati sono quasi sempre in numero limitato e molto costosi, fintanto che sono ancora ambito di sperimentazione clinica, ponendo un evidente problema di allocazione delle risorse e accessibilità alle stesse. E anche se le infrastrutture sono in rapida evoluzione, offrendo possibilità sempre maggiori ai pazienti che ne hanno bisogno, il numero di pazienti trattabili supera ancora le potenzialità della metodica.
In questo ambito, è cruciale il ruolo del legislatore. In Italia, per esempio, l’adroterapia è divenuta parte dei livelli essenziali di assistenza (LEA) del Servizio Sanitario Nazionale fin dal 2017 per 10 patologie e/o sedi tumorali.
I pazienti oncologici come soggetti vulnerabili
A quanto esposto si possono aggiungere ulteriori principi nati dalla riflessione filosofica europea, che fanno riferimento ai principi di dignità, integrità e vulnerabilità.
La salvaguardia della dignità e dell’integrità corporea, nelle sue componenti sane, è molto importante per tutti i pazienti, ma in special modo per quelli oncologici, per i quali lo stato psicofisico può essere fortemente compromesso in conseguenza di trattamenti aggressivi e invalidanti.
Particolare attenzione viene dedicata in campo bioetico al concetto di vulnerabilità, affrontato anche nella dichiarazione di Helsinki, che all’articolo 19 recita: “Alcuni gruppi e individui sono particolarmente vulnerabili e possono avere una maggiore probabilità di essere danneggiati o di incorrere in ulteriori effetti avversi. Tutti i gruppi e i singoli individui vulnerabili dovrebbero essere protetti con specifiche forme di tutela”.
È facile comprendere come rientrino tra i soggetti vulnerabili i pazienti affetti da neoplasie radioresistenti e chemioresistenti, non candidabili a trattamento radioterapico convenzionale o a terapia sistemica. L’adroterapia è una terapia innovativa che potrebbe fornire una risposta a questi pazienti. Occorre però rispettare alcuni limiti, ben delineati dalla dichiarazione di Helsinki, che all’articolo 20 sottolinea come “la ricerca biomedica su un gruppo vulnerabile sia giustificata solo se è finalizzata alle esigenze di salute o alle priorità del gruppo stesso, e non può essere condotta su un gruppo non vulnerabile. Inoltre, conoscenze, pratiche e interventi che derivano dalla ricerca dovrebbero essere immediatamente disponibili a beneficio del gruppo vulnerabile”.
Ciò significa in altre parole che le innovazioni tecnologiche dovrebbero essere ritagliate in modo preciso sulle necessità di salute di queste popolazioni vulnerabili e offerte a coloro che sono nello stato di maggiore necessità.
Ostacoli e facilitazioni
Per capire come arrivare a una piena applicazione dei principi bioetici nel contesto delle innovazioni biomediche, e in special modo dell’adroterapia, occorre valutare i fattori che ancora ne ostacolano la diffusione. Tra questi, si segnalano le barriere economiche, in termini di fondi destinati alle cure. Fattori di facilitazione della diffusione possono essere individuati negli adeguati finanziamenti, nell’attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio delle prestazioni, nel coinvolgimento di pazienti e associazioni di pazienti nonché, infine, nell’accordo con regolamentazioni etiche e legali, quali la Dichiarazione di Helsinki o le linee guida del Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS).
Fondamentale è anche l’accettazione culturale delle terapie innovative, anche se la consapevolezza della popolazione generale può essere un’arma a doppio taglio, per il rischio di aumento delle richieste di trattamento, che non sempre possono essere soddisfatte.