La costumista e docente all’Accademia di Belle Arti di Brera, Prof.ssa Claudia Augusta Botta racconta il suo intervento in questo progetto
“Frammenti di luce”, un evento che celebra la resilienza e la traspone in arte
27 gen/25
Venerdì 7 marzo l’Almo Collegio Borromeo di Pavia sarà la cornice di “Frammenti di luce”, l’evento gratuito organizzato da CNAO e dedicato a tutte le pazienti oncologiche, con l’obiettivo di aiutarle ad affrontare la vita dopo la battaglia contro un tumore, ritrovando la voglia di sentirsi donne e prendersi cura di sé, nonostante i segni indelebili lasciati sul corpo e nell’animo.
Lo spettacolo racconterà la storia di 15 pazienti attraverso la pittura, scultura, fotografia, costumistica teatrale e danza, con la collaborazione speciale degli artisti dell'Accademia delle Belle Arti di Brera, la scuola di ballo MC360 di Pavia e il maestro Eros Cristiani.
L'arte giapponese del Kintsugi, che si basa sull'idea di riparare oggetti di ceramica rotti utilizzando l'oro, farà da fil rouge: non solo restaurare un oggetto, ma celebrare le cicatrici come una parte fondamentale della propria storia, rendendole visibili e belle piuttosto che nascoste. Ne abbiamo parlato in anteprima con Claudia Augusta Botta, visual artist, storica del costume e Docente all’Accademia di Belle Arti di Brera.
La filosofia del Kintsugi può essere applicata metaforicamente alle pazienti oncologiche, offrendo un modo di vedere e vivere la malattia attraverso un prisma di forza, bellezza e trasformazione. Come può l’arte aiutare a celebrare la resilienza?
Il potere trasformativo dell’arte è a tutti noto. Penso che, questo sia possibile perché la parte di noi che entra in risonanza con l’arte è l’anima, che ritengo essere eterna, per sua natura libera dai condizionamenti di spazio e tempo e quindi da tutte le problematiche materiali, potendo così evolversi positivamente in qualunque circostanza, se riesce a trarre da ogni esperienza uno spunto accrescitivo.
L’arte ci permette di contattare la nostra forza immaginifica, creatrice, progettuale, sensibile. Dialogare attivamente con essa, anche solo come spettatori, impone uno sguardo rinnovato sulle cose e questo può farci cogliere punti di vista diversi e nuove possibilità.
Nella visione Zen e nell’estetica Wabi Sabi l'accettazione dell’impermanenza, le imperfezioni, la fragilità, sono cardini filosofici fondamentali, l'estetica che ne consegue valorizza, l’asimmetrico, l'incompleto, il non finito.
Il Kintsugi esprime questo concetto attraverso la rielaborazione rituale e la riparazione di qualcosa che si è infranto, rotto, spezzato nella sua interezza, trasformando quello che potrebbe sembrare un difetto o una ferita in un punto di forza. Questa pratica esercita alla resilienza, alla capacità di accettazione dei processi di decadimento delle cose. Fare arte comporta una ricerca continua, fatta di ripetuti aggiustamenti, volti verso una perfezione di cui sentiamo una sorta di inspiegabile nostalgia, ma fortunatamente attraverso i suoi linguaggi, le sue opere e la sua voce, essa ci rende sempre più consapevoli di quanto l’imperfezione sia umana e la bellezza sia fatta anche di questo.
Ci racconta qualcosa in anteprima delle idee che sono emerse tra gli studenti del Corso di Progettazione per il costume coinvolti in questo progetto e come avete intenzione di trasporre in arte la resilienza e la trasformazione?
Ispirandoci alla tecnica del Kintsugi, che è il tema guida scelto per questo evento, con i miei studenti del Corso di Costume stiamo ricercando come curare simbolicamente e sartorialmente le “ferite“. Per "ripararle" useremo prevalentemente il colore oro, ma non solo. Utilizzeremo infatti varie tecniche di impreziosimento quali il ricamo, le applicazioni, le suture con fili luccicanti, per rendere visibili, nella loro trasformazione, le "cicatrici".
Perché ha scelto di collaborare a questo spettacolo e cosa crede che le lascerà?
Ho scelto di lavorare a questo progetto per varie ragioni. La prima forse è perché sono una donna e simpatizzo con tutte le donne, soprattutto quelle che affrontano difficoltà. Riesco bene ad immaginarmi tutte le varie componenti e problematiche inerenti ad un percorso tanto articolato e difficile, come quello della malattia e ad immedesimarmi nella loro sofferenza. Avrei comunque accettato sicuramente, anche se i pazienti fossero stati uomini, perché naturalmente provo empatia anche per loro.
Un altro motivo, che mi ha resa favorevole a contribuire a questo evento, riguarda il fatto che da un po' di anni ho spostato il mio lavoro artistico verso il sociale. Mi dedico infatti a progetti teatrali inclusivi, partecipati, e ad attività artistiche vicine ad un lavoro di consapevolezza, meditazione e trasformazione personale, attraverso il fare artistico e la creatività. Inoltre ho ritenuto che questo progetto sia dettato da una sincera adesione ideale da parte di chi lo ha proposto e ci ha coinvolti. Per queste ragioni, ma non solo, sono contenta che i miei studenti possano fare parte di questo percorso, volto al benessere, alla cura, alla condivisione e alla creazione di "valore". Ritengo che per loro questa esperienza possa essere molto formativa, sia sul piano umano, che su quello professionale.
Infine sono stimolata dal dialogo tra diverse discipline artistiche, attraverso la collaborazione con i miei colleghi: il docente di fotografia Cosmo Laera, la prof.ssa di scultura Donata Lazzarini, il professore di pittura Dani Vescovi, che insieme a me saranno i tutor degli studenti nel processo creativo e organizzativo.