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"Come migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici"

"Come migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici"

La nostra intervista a Raffaella Pannuti, presidente Fondazione ANT Italia Onlus.

02 ago/19

Secondo lei oggi c’è la giusta attenzione per la qualità della vita dei pazienti oncologici?
Grazie a diagnosi tempestive e a terapie sempre più efficaci, chi si ammala di tumore oggi può sperare in una qualità e in un’aspettativa di vita senz’altro più alte che in passato.
Fondazione ANT si occupa prevalentemente di pazienti oncologici in fase avanzata o avanzatissima e, da quando abbiamo cominciato 40 anni fa, abbiamo visto cambiare molte cose: all’epoca l’ospedale era considerato l’unico luogo adeguato alla cura dei pazienti oncologici. Ora invece, anche grazie alla Legge 38 del 2010 che ha definito lo sviluppo delle reti di cure palliative, il diritto all’assistenza domiciliare non è più in discussione. Eppure, non tutti i cittadini malati cronici sono messi in condizione di esercitarlo. A fine 2018 è uscito, dopo più di tre anni di attesa, il Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 38, che ha fornito dati aggiornati sulla situazione delle cure palliative in Italia. Quello che sappiamo è che dei quasi 170.000 malati di tumore che muoiono ogni anno nel nostro Paese, poco più di 40.000 vengono assistiti dalle reti di cure palliative a domicilio o in hospice. Sono numeri ancora ben lontani dal bisogno potenziale delle persone malate e dei loro familiari che meriterebbero più attenzione: è per loro che, come ANT, dobbiamo continuare a lavorare in stretta alleanza con il settore pubblico e con la società civile.

Cosa dovrebbe fare la sanità pubblica per migliorare l’assistenza ai pazienti oncologici? Il Terzo Settore può essere un alleato prezioso?
Sempre parlando di pazienti oncologici in fine vita, c’è molto da fare. Il sistema soffre la disomogeneità dei modelli assistenziali adottati dalle diverse Regioni e una mancanza di linea generale e condivisa nell’organizzazione delle reti locali di cura che genera inevitabilmente delle disparità nei servizi offerti ai pazienti e alle loro famiglie. L’obiettivo del SSN deve essere quello di identificare e applicare un modello assistenziale in grado di garantire i migliori outcome di cura, e che sia al contempo universale e sostenibile. La nostra esperienza dimostra che un modello replicabile si può costruire. ANT, partendo da Bologna e diffondendosi in tante zone del Paese, ha misurato il proprio impatto in termini sia di efficacia (rispetto ai dati nazionali di assistenza nel fine vita, la percentuale di decessi a domicilio tra le persone assistite da ANT è pari al 75%, contro il 41,6% dei malati di cancro in Italia – dato Istat 2014) sia di sostenibilità economica. I tempi sono maturi affinché il processo d’integrazione pubblico e privato sociale divenga globale, omogeneo e sistematico. Le istituzioni devono avere il coraggio di innovare e avviarsi verso una reale integrazione con il non profit che vada al di là di progetti pilota, sperimentazioni ed esperienze locali, ma che sia messa a sistema a livello nazionale.

Qual è il progetto di Fondazione ANT che vorrebbe vedere realizzato presto?
Abbiamo appena raggiunto un traguardo importante, a cui abbiamo lavorato a lungo: l’avvio a Viggiano, in Basilicata, del nostro primo Hospice. La dimensione residenziale è una sfida nuova per Fondazione ANT. Con l’Hospice Il Mandorlo non intendiamo cambiare modo di avvicinarci al Sofferente di tumore in fase avanzata e avanzatissima, ma proseguiamo nel nostro percorso in difesa della dignità della vita e ci sperimentiamo su un modello di assistenza complementare a quello che abbiamo sempre portato avanti, in continuità con la nostra visione di un mondo in cui chi lotta contro il tumore non deve essere mai abbandonato. Quello che per noi resta immutato, a casa come in hospice, è un modello di assistenza sanitaria con profonde radici etiche e morali che mette la persona al centro.
Per i prossimi mesi abbiamo diversi progetti in cantiere, due su tutti: la crescita e il potenziamento dell’équipe medico-specialistica a Milano e il progetto europeo “Death Education for Palliative Psychology", appena approvato dalla Commissione Europea all'interno del programma ERASMUS+ e in cui saremo coinvolti insieme a cinque Università europee.

Lei sta portando avanti l’eccezionale lavoro di suo padre, l’oncologo, Franco Pannuti, che già 40 anni fa iniziò a portare l’attenzione su questi temi spesso trascurati. Qual è l’insegnamento più importante che le ha lasciato?
Mio padre ha lasciato in eredità a me e a tutta ANT la visione di una sanità a misura d’uomo, dove anche gli ultimi, i malati o i morenti, possano avere una dignità e non siano lasciati soli. Per lui e per noi c’è un valore superiore a tutto ed è l’Eubiosia, la dignità della vita in ogni momento. ANT è nata per rispondere al richiamo della sofferenza, con amore.

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