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L'Accoglienza come Parte della Cura

La Rete di Supporto per le Famiglie in Trasferta Sanitaria

25 nov/25

La malattia di un bambino è un evento che travolge la vita di una famiglia, e la necessità di doversi spostare lontano da casa per le cure moltiplica ansie e incertezze. Il fenomeno della "mobilità sanitaria" è spesso raccontato attraverso statistiche, ma dietro ogni dato si nasconde una realtà fatta di rinunce, fragilità e un urgente bisogno di orientamento e sostegno pratico.

Per comprendere meglio le sfide e i bisogni meno visibili di chi affronta una trasferta sanitaria, abbiamo intervistato Paola Cito dell'Associazione A Casa Lontani Da Casa (ACLDC). L'Associazione interviene nei primissimi giorni offrendo ascolto, guida e aiuto nella ricerca di alloggio e nell'organizzazione logistica, grazie a un infopoint telefonico e volontari formati. Paola Cito ci parla della preziosa Rete Solidale, che riunisce 60 associazioni e oltre 117 case di accoglienza, e di come il lavoro congiunto stia costruendo un sistema di supporto concreto, capace di trasformare gli spazi temporanei in vere e proprie comunità.

Quando una famiglia con un bambino malato arriva da un'altra regione per le cure, qual è di solito il loro primo bisogno pratico ed emotivo? E come l’Associazione interviene nei primissimi giorni?

La malattia di un bambino è uno tsunami che travolge la vita di un’intera famiglia, sia sul piano emotivo che su quello pratico. Quando, oltre alla diagnosi, arriva anche la necessità di spostarsi lontano da casa, ansie e incertezze si moltiplicano.

Nei primissimi giorni, il bisogno più urgente è orientarsi: capire dove andare, come muoversi, a chi rivolgersi. Serve qualcuno che li ascolti, li guidi e li aiuti a trovare rapidamente soluzioni concrete.

Per questo A Casa Lontani Da Casa mette a disposizione non solo il sito acasalontanidacasa.it, ma anche un infopoint telefonico attivo dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 16. Qui volontari appositamente formati accolgono le famiglie, le ascoltano e le accompagnano nella ricerca dell’alloggio più adatto, nell’organizzazione degli spostamenti da e per l’ospedale e nella gestione di tutte le necessità che emergono nelle prime ore di una trasferta sanitaria.

Il fenomeno della “mobilità sanitaria” è spesso raccontato attraverso numeri. Dal vostro punto di vista quotidiano, quali sono invece le storie, le difficoltà e i bisogni meno visibili delle famiglie che si spostano per curarsi?

La “mobilità sanitaria” è spesso descritta attraverso numeri e grafici. Ma dietro ogni dato c’è una realtà umana fatta di emozioni, rinunce e fragilità che difficilmente trovano spazio nelle statistiche.

Una delle difficoltà più grandi per le famiglie è lasciare ciò che conoscono: la casa, le abitudini, il ritmo rassicurante della quotidianità. Allontanarsi dal proprio ambiente, e spesso da una parte della famiglia, significa mettere ulteriormente alla prova un equilibrio già compromesso dalla malattia.

C’è poi l’impatto, meno evidente, dell’arrivare in un contesto nuovo: una città sconosciuta, un ospedale da imparare a conoscere, una casa di accoglienza da condividere con altre persone. Spazi comuni come la cucina o la sala giochi, che all’inizio possono sembrare estranei, diventano luogo di incontro tra genitori che vivono preoccupazioni simili.

E proprio in questi spazi condivisi, dopo i primi momenti di incertezza o timore, spesso nasce qualcosa di prezioso: relazioni sincere, sostegno reciproco, amicizie che durano nel tempo. Perché, quando si attraversano insieme paure ed emozioni così profonde, sentirsi meno soli fa davvero la differenza.

Quali sono le maggiori sfide nel trovare un alloggio adeguato per famiglie con bambini in cura, soprattutto quando il periodo fuori casa è lungo o incerto?

La sfida più grande è la disponibilità: le case di accoglienza non sono ancora sufficienti a rispondere all’elevato numero di persone che ogni anno devono trasferirsi le cure. Quando i periodi di permanenza sono lunghi o incerti, diventa ancora più complesso trovare una soluzione che sia adeguata, confortevole e sostenibile dal punto di vista economico.

Nonostante questo, uno degli aspetti più belli della Rete Solidale è la collaborazione tra le case di accoglienza. Le organizzazioni, unite dallo stesso obiettivo, fanno squadra per non lasciare indietro nessuno. Capita spesso che si creino vere e proprie “staffette” di disponibilità tra strutture diverse, così da offrire a ogni famiglia la soluzione migliore possibile, nel momento in cui ne ha bisogno.

È un lavoro silenzioso ma prezioso, che dimostra quanto la solidarietà possa trasformarsi in un sistema concreto di supporto.

In che modo una casa accogliente, anche se temporanea, può influenzare il percorso di cura di un bambino e il benessere emotivo di tutta la famiglia? Avete esempi concreti che lo dimostrano?

La letteratura scientifica lo conferma da tempo: sentirsi accolti, al sicuro e in un ambiente confortevole è parte integrante del percorso di cura. Per un bambino in terapia e per i suoi genitori, il benessere emotivo influisce in modo significativo sulla risposta ai trattamenti e sulla capacità di affrontare le difficoltà quotidiane.

Anche la nostra esperienza lo dimostra. In un’indagine condotta tra gli ospiti delle case di accoglienza della Rete Solidale, molte famiglie hanno indicato come preferibili gli alloggi con spazi condivisi.

Questo perché le aree comuni favoriscono la nascita di relazioni di supporto e permettono ai volontari, formati specificamente per la relazione d’aiuto, di essere presenti in modo attivo: aiutando nelle piccole necessità quotidiane, facilitando momenti di socialità, organizzando attività che trasformano le case in vere e proprie comunità temporanee.

Sul nostro sito sono disponibili numerose testimonianze che raccontano quanto la presenza dei volontari e la possibilità di condividere l’esperienza con chi sta vivendo lo stesso percorso facciano la differenza. Per molte famiglie, sapere di non essere sole è ciò che offre più forza, conforto e stabilità emotiva durante la cura.

Nel corso degli anni avete osservato cambiamenti nel profilo delle famiglie che arrivano da fuori regione per cure pediatriche? Come si stanno evolvendo i bisogni e quali nuove risposte state progettando?

Il profilo dele famiglie che si spostano per motivi sanitari non è cambiato in modo significativo. Ciò che invece è mutato è il clima emotivo con cui affrontano il percorso: oggi percepiamo una maggiore incertezza, un senso di smarrimento più accentuato e una naturale tendenza a concentrarsi sui bisogni immediati. Questo rende, per molte famiglie, più difficile aprirsi alla condivisione di spazi, tempi e attività con altre persone.

Proprio per questo stiamo lavorando per affiancare sempre di più le Associazioni che gestiscono le case di accoglienza, aiutandole a creare ambienti che favoriscano serenità, relazione e senso di comunità attraverso percorsi appositamente studiati, così che ogni famiglia possa sentirsi accolta con delicatezza e accompagnata nel ritrovare un equilibrio anche lontano da casa.

Quali collaborazioni con ospedali, servizi sociali, associazioni del territorio o volontariato permettono di rendere più fluido il percorso di accoglienza di chi arriva da lontano? C’è un modello che ritenete particolarmente efficace?

La nostra esperienza ci ha insegnato che, quando più realtà uniscono le forze attorno a un obiettivo comune, il percorso di accoglienza diventa davvero più semplice e fluido per le famiglie. È proprio da questo principio che nasce la Rete Solidale di ACLDC, che oggi riunisce 60 associazioni e oltre 117 case di accoglienza distribuite sul territorio nazionale.

Nel tempo, questa rete ha attirato l’interesse di molte altre organizzazioni (enti, associazioni e gruppi di volontariato) che hanno scelto di contribuire con competenze specifiche. I servizi offerti sono diversi e complementari: accompagnamento e trasporto, supporto psicologico per pazienti e caregiver, e in alcuni casi anche assistenza medica o infermieristica grazie a personale qualificato.

Questo modello collaborativo, che integra accoglienza, cura e supporto pratico, si è dimostrato estremamente efficace. Permette di rispondere in modo più completo ai bisogni di chi arriva da lontano e di costruire attorno alle famiglie una rete concreta e calorosa, capace di sostenerle in ogni fase della trasferta sanitaria.

Per molte famiglie, il trasferimento temporaneo comporta anche un impatto economico importante. Quali strumenti o iniziative mettete in campo per ridurre lo stress economico e logistico di questo periodo delicato?

Il trasferimento temporaneo per motivi di cura comporta spesso un impatto economico molto significativo: molte famiglie si trovano a dover sostenere costi imprevisti per viaggio, alloggio e vita quotidiana, arrivando talvolta a indebitarsi pur di affrontare la trasferta sanitaria.

Per ridurre questo peso, A Casa Lontani Da Casa lavora su due fronti. Da un lato, abbiamo costruito una rete di associazioni di volontariato attive nei territori vicini ai principali centri di eccellenza sanitaria, condividendo sul nostro sito tutte le informazioni utili per facilitare la ricerca di soluzioni di accoglienza gratuite o basate su un semplice rimborso spese.

Dall’altro, abbiamo attivato diversi progetti specifici di sostegno economico pensati per aiutare le famiglie più fragili: Notti Sospese, con cui copriamo le spese di alloggio per le famiglie più fragili, Aiutami e Portami con cui forniamo voucher e carte prepagate per le spese quotidiane e gli spostamenti.

Guardando al futuro, quali sono i progetti o i desideri dell’Associazione per migliorare ulteriormente l’esperienza dei pazienti pediatrici e delle loro famiglie che affrontano cure lontano da casa?

La mobilità sanitaria è un fenomeno che, con l’avanzare del progresso scientifico, difficilmente potrà ridursi: non è realistico immaginare centri di eccellenza per ogni patologia rara in ogni regione. Per questo il nostro impegno guarda al futuro con un obiettivo chiaro: rendere il percorso di chi si sposta per curarsi sempre meno faticoso.

Continuare a crescere significa da un lato ampliare ulteriormente la Rete Solidale, così da poter rispondere a un numero sempre maggiore di richieste di alloggio; dall’altro affiancare le case di accoglienza già attive con progetti dedicati, studiati per supportarle nel loro lavoro quotidiano di ascolto, accompagnamento e cura.

A livello istituzionale stiamo lavorando per sensibilizzare sempre di più enti pubblici e realtà private sul tema della mobilità sanitaria, con l’obiettivo di generare nuove opportunità, collaborazioni e iniziative capaci di trasformarsi in aiuti concreti.

Il nostro desiderio è semplice e ambizioso allo stesso tempo: che nessuna famiglia, soprattutto quando c’è un bambino da curare, debba affrontare la trasferta sanitaria sentendosi sola. Continueremo a fare tutto ciò che possiamo per costruire un sistema di accoglienza sempre più forte, diffuso e umano.

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