Matteo Frosini e la sua tesi al CNAO
Una nuova geometria dell'acceleratore
04 giu/20
Matteo Frosini, 25 anni non ancora compiuti, originario dell’Umbria e fresco di laurea magistrale in ingegneria nucleare al Politecnico di Milano, sa che “radioprotezione” e “dosimetria” saranno parole chiave che scandiranno il suo futuro.
Dopo la laurea, Matteo ha deciso di proseguire gli studi e di intraprendere il percorso di specializzazione in ingegneria nucleare. È proprio in questi due anni che ha conosciuto, e avuto modo di approfondire, quello che poi è diventato il tema della sua tesi, un progetto ambizioso e innovativo realizzato in collaborazione con il CNAO.
Una storia che vale la pena raccontare.
Matteo, quando hai conosciuto il CNAO e come è nato il progetto della tua tesi?
Durante l’università mi è capitato di frequentare seminari su varie tematiche, in queste occasioni ho conosciuto il responsabile dell’Unità di Radioprotezione del CNAO, l’ing. Michele Ferrarini. Lui mi ha spiegato cosa fosse il CNAO e, sin da subito, mi sono interessato al Centro e alla ricerca che porta avanti. Poi, quando si è avvicinato il momento della scelta dell’argomento di tesi, ho scoperto che il CNAO dava la possibilità di realizzare progetti in collaborazione con giovani laureandi. L’ing. Ferrarini mi ha illustrato i progetti a disposizione e io ho scelto di lavorare al progetto all’interno della sezione di radioprotezione. Ho iniziato quest’avventura a settembre 2019 e la collaborazione con il CNAO e il lavoro di tesi sono durati oltre sette mesi.
In cosa consiste il progetto?
Il progetto nasce da una necessità concreta: ideare uno strumento in grado di rilevare con precisione le cosiddette “perdite di fascio” dell’acceleratore. Le macchine sono costruite dall’uomo, la perfezione assoluta non esiste in natura ed è fondamentale riuscire ad avere un pieno controllo di tutti i “fenomeni” legati all’attività dell’acceleratore. Le macchine possono salvare l’uomo, ma è l’uomo a governare le macchine.
Le perdite di fascio, anche se davvero molto esigue, vanno tenute in considerazione quando si costruiscono le schermature di un qualsiasi edificio che emetta radiazioni. Non a caso, l’acceleratore del CNAO è installato al piano -1 proprio per aumentare il livello di protezione verso l’esterno. Capire dove queste emissioni avvengono è molto problematico: io ho studiato un approccio nuovo, che non esisteva ancora in letteratura, e ho adattato una serie di algoritmi per poter ricostruire la posizione esatta delle perdite di fascio lungo l’acceleratore.
Inoltre, ho sviluppato una nuova geometria dell’acceleratore, utilizzando un particolare codice per valutare quale fosse l’effetto radiologico dovuto alle perdite di fascio sia sulla popolazione che sui lavoratori stessi, sia all’interno che all’esterno dell’edificio.
A pochi giorni dalla laurea sei stato coinvolto in un altro progetto in tema Covid… Ce lo racconti?
Il Politecnico di Milano ha realizzato un progetto per studiare tecniche di sterilizzazione con radiazioni ionizzanti, in modo da consentire il riutilizzo delle mascherine e far fronte a un grosso problema attuale, che è quello legato al loro smaltimento. Ho aderito molto volentieri: questo aspetto, che molte persone non considerano, è fondamentale poiché c’è in gioco un grosso tema di eco-sostenibilità. Il progetto è attualmente al vaglio della Regione, siamo in attesa dei risultati.
Come ti immagini in futuro?
Non ho ancora le idee chiare, al momento sto valutando se proseguire con l’attività di ricerca o se lavorare nel settore industriale. Lavorare al CNAO sarebbe un sogno: quello che so, per certo, è che continuerò a lavorare nel ramo radioprotezione-dosimetria.
Un ricordo legato al CNAO?
Quando sono entrato per la prima volta nella sala dell’acceleratore di particelle sono rimasto senza parole, non riuscivo a credere ai miei occhi. Precisione, scienza, progresso: ricordo di aver pensato a queste parole.
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