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CLINICAL NEWS
Per i professionisti della sanità | N 2 | ottobre 2018

Le prospettive dell’adroterapia per i tumori pediatrici Le prospettive dell’adroterapia per i tumori pediatrici Ogni anno in tutto il mondo tra i giovani al di sotto dei 19 anni vengono diagnosticati oltre 300.000 nuovi casi di tumore che, grazie al miglioramento delle terapie, oggi possono essere curati con efficacia in buona percentuale. In questo ambito l’adrote I notevoli progressi nel trattamento dei tumori pediatrici raggiunti negli ultimi decenni hanno portato importanti miglioramenti in termini di sopravvivenza, di controllo di malattia a lungo termine e di qualità di vita per i giovani pazienti. I tumori diagnosticati più frequentemente nei pazienti con meno di 19 anni sono quelli che colpiscono il sistema nervoso centrale, i sarcomi dei tessuti molli e dell’osso e il linfoma di Hodgkin. Nel corso del tempo la radioterapia si è dimostrata efficace per il trattamento della maggior parte dei tumori solidi pediatrici, ma a fronte di effetti avversi non trascurabili. Se, infatti, ha consentito un miglioramento del controllo locale di malattia, della sopravvivenza globale (overall survival, OS) e di quella libera da malattia (progression-free survival, PFS), ha anche comportato un’incidenza non trascurabile di effetti collaterali tardivi legati all’irradiazione, particolarmente significativi in pazienti sensibili come i bambini in quanto riguardano la crescita, lo sviluppo di organi e tessuti in corso di maturazione e la possibilità di comparsa di tumori secondari. Proprio per ridurre la probabilità di insorgenza di effetti avversi, l’adroterapia con protoni e ioni carbonio rappresenta un’opzione di trattamento valida per i tumori pediatrici, per quanto i dati disponibili siano ancora limitati, essendo una terapia relativamente “nuova”, e le sfide da affrontare numerose. Le potenzialità della protonterapia La radioterapia con protoni, rispetto a quella con fotoni, ha la potenzialità di ridurre significativamente la dose irradiata ai tessuti sani circostanti concentrandola sul tumore, allo scopo di ottenere la massima efficacia minimizzando i possibili effetti collaterali acuti e tardivi e consentendo quindi una migliore qualità di vita a lungo termine. Di recente, gli esperti di radioterapia con adroni in ambito pediatrico del Particle Therapy Co-Operative Group (PTCOG) e dell’European Particle Therapy Network (EPTN) hanno condiviso con la Paediatric Radiation Oncology Society (PROS) un consensus statement sull’impiego della protonterapia nel trattamento dei tumori pediatrici maligni [1]. Nel paper, gli esperti analizzano i dati disponibili e discutono le potenziali applicazioni, le opportunità di ricerca e le sfide da affrontare per la protonterapia in ambito oncologico pediatrico. In particolare, si sottolinea che gli studi dosimetrici e i modelli elaborati indicano che la radioterapia con protoni può comportare benefici nella popolazione pediatrica, con un potenziale miglioramento della qualità di vita, della funzionalità degli organi e dello sviluppo e riducendo il rischio di tumori secondari. Tuttavia, i risultati clinici sono ancora limitati, soprattutto per quanto riguarda il confronto diretto con le altre opzioni terapeutiche. Sono necessari, infatti, dati relativi a diversi decenni di follow-up per produrre evidenze solide sui benefici della protonterapia. Le difficoltà a ottenere dati di alta qualità dipendono da molti fattori: i pazienti trattati sono pochi, occorrono lunghi periodi di follow-up per evidenziare eventuali effetti a lungo termine, l’incidenza di effetti avversi tardivi significativi è comunque molto bassa e, aspetto da non trascurare, i costi associati a studi di lunga durata sono alti. Nonostante questi aspetti critici, gli autori sottolineano che i modelli sviluppati e i dati finora disponibili indicano la potenziale efficacia della protonterapia in ambito pediatrico e interessanti prospettive nella sua combinazione con i trattamenti sistemici. Inoltre, l’uso di database dedicati, test appropriati al baseline per gli organi a rischio, follow-up accurati e la collaborazione tra le strutture che si occupano del trattamento dei pazienti pediatrici permetteranno di ottenere una più ampia mole di dati per valutare le prospettive della protonterapia ed elaborare modelli predittivi affidabili per gli effetti avversi tardivi. Il follow-up a lungo termine è dunque una questione centrale quando si tratta di valutare un trattamento effettuato in età pediatrica. Uno studio retrospettivo osservazionale condotto in quattro centri giapponesi ha analizzato i dati relativi a 343 pazienti di età inferiore a 20 anni, trattati con radioterapia con protoni tra il 1983 e il 2014 [2]. Tra questi, 62 sono stati seguiti per almeno 5 anni. L’obiettivo era valutare l’efficacia della terapia in termini di riduzione del rischio di tossicità tardive e di sviluppo di tumori secondari. Dei pazienti analizzati, 40 erano maschi e 22 femmine e al momento del trattamento l’età mediana era 10 anni, con un range compreso tra 0 e 19 anni. I siti irradiati erano il distretto cervico-cefalico (24 pazienti), il cervello (22 pazienti), il tronco (9 pazienti) e altre sedi (7 pazienti). Il follow-up mediano è stato di 8,1 anni. A 5 anni, l’incidenza di tossicità di grado 2 o superiore era del 18%, a 10 anni del 35% e a 20 anni del 45%; per quelle di grado 3 o superiore i valori erano rispettivamente del 6%, del 17% e del 17%. L’irradiazione del distretto testa-collo e del cervello è risultata associata in modo statisticamente significativo con lo sviluppo di tossicità tardive. Per quanto riguarda lo sviluppo di tumori secondari, sono stati segnalati 4 casi nei 62 pazienti trattati, dei quali 3 maligni (osteosarcoma, cancro della tiroide e leucemia mieloide acuta), tutti sviluppati al di fuori dell’area irradiata, e un adenoma pituitario. A 10 anni il tasso cumulativo era del 8% e quello dei tumori maligni del 5%; tali valori erano rispettivamente del 16% e del 13% a 20 anni. Gli autori concludono che la protonterapia può potenzialmente ridurre il rischio di tossicità a lungo termine e di sviluppo di tumori secondari nei pazienti pediatrici, per quanto siano necessari follow-up più lunghi per confermare tali benefici clinici. Lo stesso gruppo di ricerca giapponese ha recentemente pubblicato i risultati preliminari di uno studio condotto su 55 pazienti pediatrici trattati con radioterapia con protoni per rabdomiosarcoma, il sarcoma dei tessuti molli più comune nell’infanzia [3]. Per questo tipo di tumore la radioterapia tradizionale ha dimostrato un certo grado di efficacia, ma le tossicità associate possono rappresentare un problema importante per i pazienti pediatrici poiché il tumore è spesso situato in zone sensibili e importanti per lo sviluppo, come il distretto cervico-cefalico. Tra i pazienti trattati con protonterapia nello studio, 35 erano maschi e 20 femmine, con età mediana di 5 anni (le età erano comprese tra 0 e 19 anni). Per quanto riguarda l’istologia, 31 pazienti avevano un rabdomiosarcoma embrionale e 18 alveolare; i restanti 6 presentavano altre forme. Il principale sito irradiato era il distretto testa-collo (37 pazienti). Il follow-up mediano è stato di 24,5 mesi. I risultati indicano una OS a 1 anno del 91,9% e a 2 anni del 84,8%; i rispettivi valori per la PFS sono 81,6% e 71,4% e per il controllo locale di malattia 95,6% e 93%. Per quanto riguarda la valutazione delle tossicità acute, l’incidenza di quelle di grado 3 o superiore è risultata del 16%. L’87% dei pazienti ha avuto tossicità ematologiche di grado 3 o maggiore, ma non è possibile individuare quale dei trattamenti ricevuti (chirurgia, chemioterapia o radioterapia) ne sia stata la causa. In ogni caso, non sono state osservate tossicità specificamente collegabili alla protonterapia. Gli autori concludono che con la protonterapia è possibile ottenere gli stessi effetti terapeutici a breve termine della radioterapia con fotoni e con una tossicità acuta indotta tollerabile. Il ruolo degli ioni carbonio Non solo i protoni, ma anche gli ioni carbonio sembrano avere potenzialità importanti nel trattamento di selezionati tumori pediatrici, grazie ai loro effetti biologici e alla migliore distribuzione di dose nei tessuti che possono garantire rispetto ai fotoni e ai protoni stessi. I vantaggi legati a queste proprietà fisiche e biologiche, infatti, rendono la radioterapia con ioni carbonio (CIRT, carbon-ion radiation therapy) un’opzione da prendere in considerazione per il trattamento di tumori radioresistenti o situati nelle immediate vicinanze di organi altamente sensibili, in particolare – ma non solo – nella popolazione pediatrica. È il caso, per esempio, dell’osteosarcoma del tronco, il più comune tumore maligno delle ossa nei bambini e negli adolescenti. Le terapie al momento utilizzate – chemioterapia neoadiuvante, chirurgia e successiva chemioterapia adiuvante – ottengono scarsi risultati nei casi, fortunatamente piuttosto rari tra i pazienti pediatrici, di osteosarcomi non resecabili. Negli adulti, i dati disponibili indicano outcome positivi per la radioterapia con ioni carbonio per il trattamento di questo tipo di tumore, quando risulti non operabile. Finora, però, nessuno studio aveva indagato l’efficacia della CIRT per il trattamento dell’osteosarcoma del tronco non resecabile nei bambini e negli adolescenti. Lo ha fatto un gruppo di ricercatori giapponesi e statunitensi, che ha analizzato in modo retrospettivo i dati di 26 pazienti di età compresa tra 11 e 20 anni, trattati con ioni carbonio tra il 1996 e il 2014 per osteosarcoma del tronco non operabile [4]. I pazienti erano per il 69% maschi (18 pazienti) e l’età mediana era 16 anni; tutti avevano un osteosarcoma di grado elevato con istologia variabile: nel 50% dei casi (13 pazienti) osteoblastico, nel 31% (8 pazienti) condroblastico, nel 11% (3 pazienti) fibroblastico, nei restanti pazienti di altro tipo. Per la maggior parte dei pazienti (22 pazienti, 85%) vi era una recidiva locale dopo la chirurgia. Tutti i pazienti avevano ricevuto una chemioterapia precedente, mentre solo il 15% di loro aveva subito un intervento chirurgico. Il follow-up mediano è stato di 32,7 mesi. La OS a 3 anni è del 50% e a 5 anni del 41,7%; 10 pazienti sono sopravvissuti per oltre 5 anni. Il tasso di controllo locale di malattia è del 69,9% e del 62,9% a 3 e a 5 anni rispettivamente. La PFS è 34,6% a 3 e a 5 anni. Per quanto concerne le tossicità, sono stati rilevati 4 casi di eventi avversi tardivi di grado 3-4 e 1 caso di frattura ossea. Le conclusioni indicano la CIRT come un trattamento sicuro ed efficace, in grado di garantire il controllo locale di malattia e la sopravvivenza nei pazienti pediatrici con osteosarcoma non operabile. La dottoressa Lorenza Gandola, responsabile della Radioterapia pediatrica della Fondazione IRCCS “Istituto Nazionale dei Tumori” sottolinea: “E’ in corso una produttiva collaborazione tra CNAO e la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, dove è attiva una Struttura Semplice di Radioterapia Pediatrica, per il trattamento con adroterapia di pazienti pediatrici e adolescenti affetti da neoplasie maligne per garantire ai pazienti in queste fasce di età, grazie alla condivisione di competenze di alta specializzazione, il trattamento radiante ottimale in base alle caratteristiche cliniche del singolo paziente. Scopo comune è, inoltre, quello di migliorare l’evidenza scientifica, a livello nazionale e internazionale, sull’impiego di particelle pesanti” Reference 1. Weber DC, Habrand JL, Hoppe BS, et al. Proton therapy for pediatric malignancies: Fact, figures and costs. A joint consensus statement from the pediatric subcommittee of PTCOG, PROS and EPTN. Radiother Oncol 2018;128(1):44-55. 2. Mizumoto M, Murayama S, Akimoto T, et al. Long-term follow-up after proton beam therapy for pediatric tumors: a Japanese national survey. Cancer Sci 2017;108(3):444-7. 3. Mizumoto M, Murayama S, Akimoto T, et al. Preliminary results of proton radiotherapy for pediatric rhabdomyosarcoma: a multi-institutional study in Japan. Cancer Med 2018;7(5):1870-4. 4. Mohamad O, Imai R, Kamada T, et al. Carbon ion radiotherapy for inoperable pediatric osteosarcoma. Oncotarget 2018;9(33):22976-85.
Carcinoma prostatico e adroterapia: ricerca in corso Carcinoma prostatico e adroterapia: ricerca in corso Nel percorso di trattamento del carcinoma prostatico, la radioterapia ha un ruolo di primo piano e in alcuni casi è considerata l’opzione terapeutica più appropriata. Date le caratteristiche biologiche e fisiche favorevoli, gli ioni carbonio rappresentano Il carcinoma della prostata è il secondo tumore più frequente negli uomini a livello mondiale e il quinto per tasso di mortalità, per quanto il miglioramento delle tecniche di diagnosi precoce e l'aumento dell’efficacia dei trattamenti stia riducendo gradualmente questo dato. Dopo la diagnosi e la stadiazione, le opzioni terapeutiche disponibili sono la terapia ormonale, la chirurgia e la radioterapia, di solito usate in combinazione. La radioterapia, in particolare, ha un ruolo importante nel trattamento del carcinoma prostatico, soprattutto per le forme localmente avanzate, per quanto i tassi di controllo di malattia a lungo termine siano valutati non ancora del tutto soddisfacenti, anche perché questo tipo di tumore è considerato relativamente radioresistente ai fotoni. Poiché l’adroterapia impiega particelle con efficacia biologica più elevata nei confronti dei tumori radioresistenti, potrebbe rappresentare una opzione terapeutica in grado di portare un vantaggio biologico rispetto alla radioterapia con fotoni, anche se i dati al momento disponibili sono controversi riguardo il beneficio clinico e non consentono di trarre conclusioni univoche in questo senso. Per questo motivo gli ioni carbonio sono oggetto di interesse e di studio a livello internazionale per quanto riguarda il loro impiego nel trattamento del carcinoma prostatico. Tumore prostatico ad alto rischio e ioni carbonio: che cosa si fa al CNAO Al CNAO è attivo un protocollo terapeutico-assistenziale per il trattamento con adroterapia dei pazienti con diagnosi di adenocarcinoma della prostata di alto grado, per il quale i trattamenti consolidati danno risultati non del tutto soddisfacenti. In questi casi, infatti, è indispensabile concentrare alte dosi sul tumore, risparmiando il più possibile i tessuti sani adiacenti, che sono radiosensibili. Per i pazienti a rischio intermedio e alto è previsto un trattamento con ioni carbonio alla dose totale di 66,4 Gy [RBE] erogato in 16 frazioni di 4,15 Gy [RBE] ciascuna, e una terapia ormonale. Inoltre, il CNAO ha in corso uno studio clinico multicentrico di fase II per valutare uno schema di trattamento che impiega gli ioni carbonio per incrementare la dose sulla prostata (CIRT, carbon-ion radiation therapy) seguito da radioterapia pelvica a intensità modulata guidata da imaging (IG-IMRT, image-guided intensity-modulated radiation therapy) con fotoni per il tumore prostatico ad alto rischio. Lo studio, prospettico e a braccio singolo, è coordinato dall’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e coinvolge oltre al CNAO, l’Istituto Nazionale Tumori di Milano. Lo studio ha come obiettivo principale valutare la fattibilità di questo schema di trattamento in termini di incidenza di effetti avversi acuti, che si manifestano cioè entro un mese dal termine della radioterapia. Come obiettivi secondari, lo studio punta a valutare la tollerabilità del trattamento a 3 mesi e a lungo termine (dopo 1, 2, 5 e 10 anni), la qualità di vita legata al trattamento e l’efficacia dello schema terapeutico in termini di tempo libero da rialzo del PSA, pattern di ricaduta biochimica, tempo libero da recidive (locali o a distanza) e sopravvivenza. I criteri di inclusione prevedono la diagnosi citologica e istologica di adenocarcinoma prostatico ad alto rischio, la classificazione del tumore come N0 e M0, un performance status inferiore o uguale a 2. Inoltre i pazienti non devono aver ricevuto una precedente radioterapia pelvica, dovevano avere un buon flusso urinario e nessuna patologia infiammatoria intestinale attiva. Dallo studio sono esclusi pazienti con malattia localmente avanzata, con gravi malattie d’organo o sistemiche, con protesi d’anca o incapaci di fornire un consenso informato; inoltre non dovevano aver avuto un tumore invasivo recente o aver subito una prostatectomia. Al termine del percorso di trattamento è previsto un follow-up con tempi appropriati per la raccolta dei dati sugli effetti avversi acuti e tardivi e sulla qualità di vita. Le analisi statistiche previste riguardano sia la tossicità sia l’efficacia. Reference 1. Studio clinico di fase II su uno schema di trattamento boost con ioni carbonio seguito da IG-IMRT per il tumore prostatico ad alto rischio - Progetto AIRC IG 2013 - N14300 Centri partecipanti: Istituto Europeo di Oncologa, IEO, Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (INT), Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO).
 Epatocarcinoma: cosa fare quando la chirurgia non è indicata? Epatocarcinoma: cosa fare quando la chirurgia non è indicata? Il carcinoma epatocellulare è una delle principali cause di morte per tumore nel mondo e la sua incidenza è in aumento. La chirurgia, potenzialmente curativa, in molti pazienti è controindicata a causa di condizioni mediche o fisiche sfavorevoli. L'adrote Le principali opzioni terapeutiche per il carcinoma epatocellulare sono la resezione chirurgica e le terapie ablative locali, in particolare la termoablazione percutanea a radiofrequenza. Tuttavia, in molti casi, la presenza di infezioni da virus dell'epatite B o C o di cirrosi epatica – condizioni frequenti nei pazienti con epatocarcinoma – impedisce l'impiego di queste terapie e richiede il ricorso a trattamenti alternativi. Nel corso del tempo, i progressi tecnologici nell'ambito della radioterapia hanno reso disponibili trattamenti in grado di concentrare alte dosi di fotoni sulle lesioni tumorali, come la radioterapia stereotassica. Poiché, però, il carcinoma epatocellulare è localizzato in un'area caratterizzata da tessuti radiosensibili, è importante preservare i tessuti sani del fegato dagli effetti avversi legati all'irradiazione. L'adroterapia, grazie alle peculiari caratteristiche fisico-biologiche dei protoni e degli ioni carbonio, offre la possibilità di trattare questa patologia in modo efficace e con minore tossicità, anche nei pazienti con una riserva funzionale epatica ridotta. Tuttavia, al momento, l'adroterapia è stata utilizzata in questo ambito in un numero limitato di pazienti e mancano studi di confronto con le altre opzioni terapeutiche. È comunque possibile avere una visione di insieme su quanto si sa attualmente riguardo l'efficacia e la sicurezza dell'adroterapia per il trattamento del carcinoma epatocellulare. Adroterapia per l'epatocarcinoma: lo stato dell'arte Un gruppo di ricerca giapponese ha condotto una revisione sistematica degli studi pubblicati relativamente all'impiego della radioterapia con protoni e con ioni carbonio (CIRT, carbon-ion radiotherapy) nel trattamento del carcinoma epatocellulare [1]. Nella banca dati MEDLINE, i ricercatori hanno individuato e selezionato gli studi clinici condotti tra il 1983 e il 2016 sull'adroterapia per l'epatocarcinoma, con outcome primario il controllo locale di malattia, o la sopravvivenza globale (OS, overall survival) o gli effetti tardivi della radiazioni. Al termine del percorso di analisi sono stati selezionati 11 lavori con un totale di 13 coorti (787 pazienti); tra questi era incluso un trial controllato randomizzato di confronto tra la protonterapia e la chemioembolizzazione epatica transarteriosa. Sono stati selezionati anche 9 trial di fase I e II e 2 studi retrospettivi, in uno dei quali venivano messe a confronto le coorti trattate con protonterapia e con CIRT. Dall'analisi emerge che i tassi di controllo locale di malattia a 3 anni variano tra il 71,4% e il 95% nei diversi studi, mentre per la la OS a 5 anni i valori risultano compresi tra 25% e 42,3%. L'adroterapia sembra quindi efficace in termini di controllo locale di malattia, mentre la OS dipende da alcune caratteristiche del paziente, in particolare la riserva funzionale epatica e il numero di lesioni tumorali. Tuttavia, anche in questo caso, i risultati sono considerati promettenti, in quanto nella maggior parte dei casi le coorti analizzate includevano pazienti con epatocarcinoma non resecabile. Gli effetti negativi tardivi della radiazioni sono risultati rari, mentre eventi avversi tardivi di grado 3 o superiore sono stati registrati solo in 18 dei 787 pazienti inclusi nell'analisi, a sostegno della safety del trattamento con protoni e ioni carbonio. Occhi puntati sugli ioni carbonio In aggiunta a quanto emerso nella revisione sistematica citata [1], è interessante analizzare i risultati di alcuni studi relativi specificamente all'utilizzo della CIRT nel trattamento dell'epatocarcinoma. Uno studio multicentrico condotto dal Japan Carbon Ion Radiation Oncology Study Group (J-CROS) ha valutato l'efficacia e la sicurezza di una radioterapia con ioni carbonio di breve durata, cioè erogata in 4 frazioni o meno [2]. L'outcome primario era la OS, quelli secondari comprendevano la valutazione del controllo locale di malattia, delle tossicità collegate al trattamento e delle malattie epatiche indotte dalle radiazioni. Nello studio sono stati inclusi 174 pazienti, trattati con CIRT tra il 2005 e il 2014 in quattro centri, i cui dati sono stati analizzati retrospettivamente. I pazienti erano in prevalenza uomini (114 pazienti, 66%) e l'età mediana era di 73 anni. Per quanto riguarda gli schemi di trattamento, 108 pazienti hanno ricevuto la dose di 58,5 Gy in 4 frazioni, 46 la dose di 48 Gy in 2 frazioni e 20 la dose di 60 Gy in 4 frazioni. Il follow-up mediano è stato di 20,3 mesi. La OS è risultata del 95,4% a 1 anno, del 82,5% a 2 anni e del 73,3% a 3 anni; per il tasso di controllo di malattia i valori sono risultati del 94,6%, del 87,7% e del 81% rispettivamente. Nel corso del follow-up non sono stati registrati decessi correlati al trattamento; 10 pazienti (5,7%) hanno avuto tossicità legate alla terapia di grado 3 o superiore, mentre in 3 pazienti (1,7%) sono stati osservati disturbi epatici indotti dalle radiazioni. Gli autori concludono che la CIRT erogata con questa modalità è sicura ed efficace per il trattamento del carcinoma epatocellulare. Un altro studio retrospettivo ha focalizzato invece l'attenzione sull'impiego della CIRT nei pazienti anziani con epatocarcinoma [3]. Sono stati inclusi 31 soggetti con età uguale o superiore a 80 anni, trattati con CIRT tra il 2011 e il 2015. L'età mediana era di 83 anni e il follow-up mediano è stato di 23,2 mesi. A 2 anni, il valore stimato per la OS è risultato del 82,3%, il tasso di controllo locale del 89,2% e la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progression-free survival) del 51,3%. Dal punto di vista della safety, nei primi 3 mesi dal trattamento nessun paziente ha avuto eventi avversi di grado 2 o superiore. Per quanto riguarda le tossicità tardive, sono stati registrati 3 casi di encefalopatia, 2 dei quali migliorati con la terapia medica. Dai risultati dello studio, quindi, sembrano emergere elementi a sostegno dell'efficacia e della sicurezza della CIRT anche nella popolazione anziana con carcinoma epatocellulare. Reference 1. Igaki H, Mizumoto M, Okumura T, et al. A systematic review of publications on charged particle therapy for hepatocellular carcinoma. Int J Clin Oncol 2018;23(3):423-33. 2. Shibuya K, Ohno T, Terashima K, et al. Short-course carbon ion radiotherapy for hepatocellular carcinoma: a multi-institutional retrospective study. Liver Int 2018;1-9. 3. Shiba S, Abe T, Shibuya K, et al. Carbon ion radiotherapy for 80 years or older patients with hepatocellular carcinoma. BMC Cancer 2017;17(1):721.
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