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CLINICAL NEWS
Per i professionisti della sanità | N 1 | 2018

Ioni carbonio per il cancro del pancreas: lo studio in corso al CNAO Ioni carbonio per il cancro del pancreas: lo studio in corso al CNAO L’adroterapiacon ioni carbonio, rappresenta una prospettiva promettente per il trattamento del cancro del pancreas, una delle principali cause di morte per tumore. I risultati di studi recenti ne indicano una buona efficacia e sicurezza nel trattamento Il cancro del pancreas è una patologia che comporta una percentuale di sopravvivenza globale a 5 anni inferiore al 5% e rappresenta la quarta causa di morte per tumore nei paesi più sviluppati. La diagnosi precoce è molto difficile, tanto che avviene solo nel 20% dei casi viene posta quando il tumore è ancora in fase iniziale.Nel 30-40% dei pazienti il tumore alla diagnosi, anche in assenza di metastasi, non è resecabile a causa dell’infiltrazione dei vasi sanguigni e dei tessuti molli circostanti.Nel 40-50% dei pazienti il cancro del pancreas viene invece diagnosticato solo quando è già in fase metastatica. In generale, quindi, le risposte alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia convenzionale con fotoni sono poco soddisfacenti, e nei pazienti con questa patologia è utile indagare da terapie diverse da quelle considerate standard, come l’adroterapia. Negli ultimi anni sono stati condotti alcuni studi prospettici sull’impiego degli ioni carbonio per la radioterapia del cancro del pancreas localmente avanzato, anche associata alla chemioterapia [1] (vedi news https://fondazionecnao.it/area-medici/it/news/item/37-adroterapia-per-il-cancro-del-pancreas?utm_source=newsletter_62&utm_medium=email&utm_campaign=carcinomi-adenoideo-cistici-chirurgia-radioterapia-o-adroterapia). Il trattamento di queste forme localmente avanzate non è, però, l’unico ambito sul quale si concentra la ricerca. Infatti, gli studi condotti finora hanno indicato che, anche per i pazienti con tumore resecabile, l’intervento chirurgico radicale da solo ha una efficacia limitata in termini di sopravvivenza a 5 anni e di riduzione del rischio di recidiva locale o a distanza [1,2]. L’efficacia di un trattamento radioterapico o chemio-radioterapico neoadiuvante, e di adroterapia in particolare, è quindi un ambito di studio di grande interesse. Lo studio in corso al CNAO “Negli ultimi anni diversi studi hanno valutato il ruolo della chemio-radioterapia per il trattamento dei pazienti con tumore del pancreas resecabile” spiega la dottoressa Viviana Vitolo, medico specialista al CNAO. “L’obiettivo è ottenere un miglioramento del tasso di resezione R0, cioè con margini chirurgici negativi, riducendo il volume della neoplasia, la sua componente perivascolare e linfonodale locoregionale; tuttavia, con le tecniche radioterapiche convenzionali non è stato possibile ottenere una risposta patologica che abbia impatto sulla prognosi di questi pazienti, in quanto il tumore del pancreas è radioresistente e non possono essere utilizzate alte dosi per non danneggiare gli organi critici circostanti. In questo quadro, la terapia con ioni carbonio sembra promettente per il trattamento dei tumori del pancreas resecabili. “Il beneficio atteso del trattamento con ioni carbonio è il miglioramento del controllo locale di malattia senza che questo comporti un aumento della tossicità a livelli non accettabili” aggiunge il professor Paolo Dionigi, direttore della struttura complessa di chirurgia generale del Policlinico S. Matteo di Pavia. “Questo potenziale beneficio deriva dalle peculiari caratteristiche fisiche e radiobiologiche degli ioni carbonio, in grado di depositare alte dosi negli organi e nei tessuti bersaglio, limitando l’irradiazione di quelli circostanti”. Al CNAO è stato quindi avviato, in collaborazione con il Policlinico S. Matteo di Pavia, uno studio clinico di fase II per valutare il trattamento preoperatorio con chemioterapia e radioterapia con ioni carbonio (CIRT) di adenocarcinomi del pancreas operabili o borderline (studio PIOPPO, Preoperatoria con IOni carbonio Per tumore del Pancreas Operabile). Si tratta di uno studio prospettico, di fase II, a singolo braccio e a coorti parallele. Dopo sei settimane di chemioterapia neoadiuvante (come da prototocolli standard) i pazienti vengono sottoposti a radioterapia preoperatoria con ioni. Coloro che, pur soddisfacendo i criteri di inclusione, non accettino il trattamento in studio, sono inseriti in un registro prospettico longitudinale sul quale vengono valutati gli stessi endpoint clinici (braccio di controllo). Lo studio ha una durata di 3 anni e un follow up di ulteriori 2 anni. “L’obiettivo primario dello studio è la valutazione della sopravvivenza libera da progressione (PFS), per la quale ci si attende un incremento, ma verranno valutati come obiettivi secondari anche la sopravvivenza globale (OS), il tasso di resecabilità R0 stratificato per gruppi, cioè per pazienti operabili rispetto a pazienti borderline, e le tossicità”, specifica il professor Dionigi. In particolare, per quanto concerne la safety, è prevista la valutazione delle tossicità acute (che insorgono entro 3 mesi dal trattamento), di quelle a medio termine (rilevate dopo 3-6 mesi dalla fine della terapia) e di quelle tardive (con comparsa oltre 6 mesi dopo la fine del trattamento) che possano essere attribuite alla radioterapia; saranno registrate anche le tossicità intraoperatorie e quelle perioperatorie. Possono essere arruolati nello studio pazienti di età compresa tra 18 e 75 anni, con diagnosi istologica o citologica di tumore del pancreas esocrino resecabile o borderline (secondo la definizione delle linee guida del National Comprehensive Cancer Network, NCCN), senza metastasi a distanza rilevabili con esami strumentali e senza infiltrazioni dello stomaco e del duodeno da parte della neoplasia. Inoltre, i pazienti devono avere un indice di Karnofsky di almeno 70, valori adeguati per quanto concerne l’emocromo, la funzionalità renale e quella epatica, e un’attività nella norma dell’enzima DPD (diidropirimidina deidrogenasi). Le donne in età fertile possono essere incluse solo a fronte di un’adeguata contraccezione e della rinuncia all’eventuale allattamento. La radioterapia ha una durata prevista di 2 settimane, con 4 frazioni a settimana, e non verrà associata a chemioterapia concomitante. Dopo un periodo di 4-6 settimane dal termine dell’adroterapia è prevista una valutazione della risposta al trattamento attraverso una TC con mezzo di contrasto dell’addome e l’avvio alla chirurgia resettiva pancreatica standard. Nella fase postoperatoria, dopo 30-40 giorni dall’intervento, il protocollo prevede 6 cicli di chemioterapia con gemcitabina secondo lo schema standard applicato nella pratica clinica. L’interruzione del trattamento prima delle 14 settimane previste dal protocollo è possibile in caso di rinuncia da parte del paziente, o progressione di malattia confermata da dati clinici e strumentali oppure in caso di comparsa di tossicità ritenute non accettabili. Finora sono stati arruolati e trattati 4 pazienti dei 30 previsti. Gli istologici hanno dato evidenza di parziale risposta del tessuto tumorale al trattamento eseguito. La radioterapia con ioni carbonio per le forme localmente avanzate La terapia considerata lo standard di cura per questa forma di tumore pancreatico è la chemioterapia, da sola o associata alla radioterapia convenzionale. Tuttavia, gli studi di confronto condotti su queste opzioni terapeutiche hanno fornito risultati controversi per quanto concerne l’efficacia della radioterapia convenzionale con fotoni nell’ottenere un adeguato controllo di malattia, data la natura radioresistente di questo tumore. Invece, i protoni e soprattutto gli ioni carbonio risultano particolarmente indicati per il trattamento del cancro del pancreas localmente avanzato, perché la radioterapia con queste particelle consente una distribuzione ottimale della dose irradiata e un migliore effetto biologico. Quindi, la radioterapia con ioni carbonio potrebbe portare benefici significativi in termini di miglioramento del controllo di malattia e di sopravvivenza. Uno studio retrospettivo recente ha analizzato i dati raccolti da 3 centri istituzionali giapponesi che fanno parte del gruppo di studio Japan Carbon-ion Radiation Oncology Study Group (J-CROS) [3]. L’obiettivo dello studio è valutare l’efficacia e la safety della radioterapia con ioni carbonio per il trattamento del carcinoma pancreatico localmente avanzato. Nello studio sono stati inclusi 72 pazienti, trattati con CIRT nei 3 centri tra aprile 2012 e dicembre 2014. La maggior parte dei pazienti (52; 72%) ha ricevuto una dose di 55,2 Gy (RBE), gli altri una dose di 52,8 Gy (RBE), in entrambi i casi in 12 frazioni. L’età mediana dei pazienti arruolati è di 68 anni, con un range che va da 44 a 84 anni. Una chemioterapia precedente alla CIRT è stata somministrata a 53 pazienti (74%), nella metà dei casi con gemcitabina; in concomitanza con la CIRT, invece, 56 pazienti (78%) hanno ricevuto anche la chemioterapia, nel 68% dei casi con gemcitabina settimanale al dosaggio di 1.000 mg/m2. Il tasso di sopravvivenza globale (OS) è stato del 73% a 1 anno e del 46% a 2 anni, con un valore mediano di 21,5 mesi. Per la sopravvivenza libera dalla comparsa di metastasi a distanza i valori rilevati sono stati del 41% a 1 anno e del 28% a 2 anni. Per quanto riguarda le recidive locali, l’incidenza cumulativa è stata del 16% a 1 anno e del 24% a 2 anni. Infine, dal punto di vista delle tossicità associate alla terapia complessiva, in 19 pazienti (26%) sono stati rilevati eventi avversi ematologici di grado 3 o 4, in tutti i casi correlati con la concomitante chemioterapia con gemcitabina. L’unico evento avverso acuto di natura non ematologica è stato un’anoressia di grado 3 comparsa in 2 pazienti. Un paziente ha sviluppato un’ulcera duodenale di grado 3, mentre non ci sono stati casi di tossicità tardive di grado 4 o 5. Gli autori dello studio concludono che i risultati indicano outcome clinici favorevoli al trattamento con CIRT per le forme localmente avanzate di tumore pancreatico, a fronte di una tossicità accettabile. Reference 1. Shinoto M, Yamada S, et al. Carbon ion radiation therapy with concurrent gemcitabine for patients with locally advanced pancreatic cancer. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2016;95(1):498-504. 2. Kamada T, Tsujii H, et al. Carbon ion radiotherapy in Japan: an assessment of 20 years of clinical experience. Lancet Oncol 2015;16(2):e93-e100. 3. Kawashiro S, Yamada S, Okamoto M, et al. Multi-institutional Study of Carbon-ion Radiotherapy for Locally Advanced Pancreatic Cancer: Japan Carbon-ion Radiation Oncology Study Group (J-CROS) Study 1403 Pancreas. Int J Radiat Oncol Biol Phys 2018;101(5):1212-21.
Le prospettive del CIRT per i carcinomi delle ghiandole salivari Le prospettive del CIRT per i carcinomi delle ghiandole salivari I carcinomi delle ghiandole salivari sono tumori rari, trattati principalmente con la chirurgia. La terapia radiante con fotoni è limitata al setting postoperatorio o ai pazienti non operabili, per i quali però i risultati non sono soddisfacenti. Gli stud Tra le caratteristiche peculiari dei carcinomi delle ghiandole salivari vi è il fatto di essere formati da diversi sottotipi istologici (più di 20 nell’ultima classificazione del WHO 2017), molti dei quali radioresistenti. Per questo motivo la radioterapia con fotoni è utilizzata solo in casi limitati per il trattamento di questi tumori. Lo standard di cura è la chirurgia e la radioterapia può essere impiegata nella fase postoperatoria in condizioni particolari, per esempio quando il margine operatorio è positivo o la malattia è considerata ad alto rischio, come nel caso di tumore localmente avanzato con invasione delle strutture adiacenti. Talvolta la radioterapia può essere utilizzata anche per il trattamento dei pazienti non operabili, ma in questo caso i dati degli studi indicano un’efficacia limitata in termini di controllo locale di malattia (circa 50% a 5 anni). Rispetto a quella con i fotoni, la radioterapia con neutroni consente un più alto trasferimento lineare di energia e una maggiore efficacia biologica relativa; è quindi efficace per il trattamento di tumori radioresistenti e, nel caso specifico, ha migliorato in modo significativo il controllo locale di malattia (fino al 75%), a fronte però di una incidenza di una tossicità importante, significativamente più alta, per cui non può essere considerata un’opzione terapeutica alternativa. In questo contesto, la radioterapia con ioni carbonio (CIRT, carbon-ion radiation therapy) rappresenta una prospettiva di grande interesse: rispetto a quella con i neutroni, infatti, ha caratteristiche fisiche e biologiche simili, ma consente un rilascio meglio localizzato della dose di radiazione e riduce quindi il rischio di tossicità a carico delle strutture sane circostanti. La CIRT ha già ottenuto risultati promettenti nel trattamento dei carcinomi delle ghiandole salivari, in particolare del carcinoma adenoideo-cistico (ACC) in diverse ricerche finora realizzate, ma di recente nuovi studi stanno arricchendo ulteriormente il quadro. Il trattamento dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori Uno studio retrospettivo multicentrico ha valutato l’efficacia e la safety della radioterapia con ioni carbonio nei pazienti con carcinomi delle ghiandole salivari maggiori inclusi in un ampio studio condotto in Giappone, che aveva l’obiettivo di valutare gli outcome clinici della CIRT nel trattamento dei tumori del distretto cervico-cefalico (studio J-CROS 1402 HN). Lo studio J-CROS 1402 HN è stato realizzato come una survey retrospettiva su 908 pazienti con tumori della testa e del collo trattati con ioni carbonio in 4 centri giapponesi tra il 2003 e il 2014. Di questi pazienti, 69 con carcinomi delle ghiandole salivari maggiori sono stati inclusi nella sottoanalisi [1]. L’età mediana dei pazienti analizzati è 62 anni, ma con un ampio range che varia tra 19 e 83 anni. Il carcinoma è localizzato, nell’84% dei casi, nella ghiandola parotide; nel 48% dei casi si tratta di carcinoma adenoideo-cistico, nel 14% di carcinoma mucoepidermoide e nel 10% di adenocarcinoma. Nessun paziente ha ricevuto una chemioterapia concomitante o una terapia adiuvante prima dello sviluppo di recidive o metastasi. Il follow up mediano per tutti i pazienti è di 32,7 mesi. Con i limiti legati a una casistica retrospettiva e al fatto che l’istologia non è stata revisionata, i risultati dell’analisi indicano un tasso di controllo locale di malattia dell’81% a 3 anni e del 74% a 5 anni. Per quanto riguarda la sopravvivenza globale (OS, overall survival) i tassi rilevati sono del 94% a 3 anni e del 82% a 5 anni, mentre la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS, progression-free survival) è del 51% sia a 3 sia a 5 anni. Dal punto di vista della safety, non si segnalano tossicità acute o tardive di grado uguale o superiore a 4. Sono stati registrati 7 casi di mucosite e altrettanti di dermatite di grado 3, mentre per le tossicità tardive si registra un caso di disfagia e uno di ascesso cerebrale di grado 3. Per quanto siano necessari studi prospettici con casistiche più estese, questi dati indicano che la radioterapia con ioni carbonio per il trattamento dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori consente un elevato controllo locale di malattia con una tossicità accettabile. Il trattamento dei carcinomi della parotide localmente avanzati I carcinomi della parotide rappresentano la percentuale nettamente maggioritaria (70-80%) dei tumori delle ghiandole salivari. Il trattamento di prima scelta è la chirurgia, che ha tra i principali obiettivi il mantenimento della funzionalità del nervo facciale. Tuttavia, in caso di tumore localmente avanzato, questo obiettivo può essere difficile da ottenere con la chirurgia, e alcune ricerche hanno iniziato a valutare l’impiego della radioterapia con ioni carbonio in questi casi. Uno studio condotto in Giappone ha valutato l’efficacia e la safety della CIRT per il trattamento di carcinomi della parotide localmente avanzati in 46 pazienti considerati non operabili o che hanno rifiutato l’intervento [2]. Sedici tra i pazienti inclusi avevano un carcinoma adenoideo-cistico, 8 un adenocarcinoma, altrettanti un carcinoma mucoepidermoide; la CIRT è stata il trattamento primario per 25 pazienti, altri 20 l’hanno ricevuta per recidiva locale dopo la chirurgia e 1 per il trattamento del tumore residuo dopo l’intervento. Il follow up mediano è di 62 mesi. A 5 anni, il tasso di controllo locale di malattia è 74,5%, la OS 70,1% e la PFS 49,2%. Per quanto riguarda le tossicità acute, sono stati registrati 14 casi di reazioni cutanee di grado 2 e 1 di grado 3, oltre a 12 casi di reazioni avverse di grado 2 a carico della mucosa della cavità orale o della faringe. Dei 30 pazienti che non presentavano paralisi del nervo facciale prima della CIRT, solo 5 hanno sviluppato questa complicanza nel periodo di follow up. In conclusione, quindi, anche in questo caso specifico la radioterapia con ioni carbonio sembra un’opzione terapeutica promettente per pazienti con tumore avanzato e non candidati alla chirurgia, anche alla luce del buon profilo di safety. Il trattamento del carcinoma mucoepidermoide Esistono tre differenti forme di carcinoma mucoepidermoide che si caratterizzano per l’aggressività e per la prognosi: il carcinoma mucoepidermoide a basso grado (frequente nelle forme pediatriche), quello a grado intermedio e quello ad alto grado. Quest’ultimo è considerato un tumore resistente alla radioterapia e alla chemioterapia, e viene quindi trattato, se possibile, con il ricorso alla chirurgia. Nei casi in cui il tumore non è resecabile, però, le opzioni terapeutiche sono limitate e la radioterapia con ioni carbonio, in base ai dati finora disponibili – per quanto limitati a causa della rarità del tumore – sembra promettente. Una sottoanalisi dello studio J-CROS 1402 HN (vedi paragrafo Il trattamento dei carcinomi delle ghiandole salivari maggiori) ha valutato in modo retrospettivo gli outcome clinici di 26 pazienti con carcinoma mucoepidermoide trattati con CIRT nei centri giapponesi coinvolti nello studio [3]. Per il 38% dei pazienti il carcinoma era localizzato nella parotide, per il 23% nella cavità orale, per il 19% in quella nasale e per il 12% alla faringe. Nell’81% dei casi si trattava di un tumore primario. Il follow up mediano è di 34 mesi. A 3 anni, il tasso di controllo locale di malattia è 95%; per quanto la riguarda la sopravvivenza, i valori rilevati sono dell’89% per la OS e del 73% per la PFS. Il profilo di safety che emerge dai dati di questo studio è valutato in termini positivi dagli sperimentatori: i casi di mucosite acuta di grado uguale o superiore a 3 riguardano il 19% dei pazienti e quelli di dermatite l’8%; per quanto concerne gli eventi avversi tardivi di grado 3 o superiore, l’incidenza cumulativa a 3 anni è del 14%. Sebbene sia ritenuto necessario un ulteriore periodo di follow up per valutare l’efficacia del trattamento a lungo termine, la CIRT è considerata una opzione terapeutica promettente per questa tipologia di tumore. Barbara Vischioni, radioterapista del CNAO, sottolinea: “nella valutazione dei pazienti oncologici in generale, e ancora di più per quelli affetti da patologia rara in questo ambito, è indispensabile il contributo di un team multidisciplinare esperto, con oncologo, chirurgo e radioterapista che si avvalgono dell’expertise dell’anatomopatologo e del radiologo per definire la migliore terapia a disposizione in base ai dati clinico-patologici della malattia. CNAO, dalla sua apertura nel 2011, ha trattato ormai alcune centinaia di pazienti a istologia ghiandole salivari del distretto testa-collo, indirizzati da colleghi sia italiani sia stranieri. Il nostro Centro mira a rafforzare un network in ambito sia nazionale sia internazionale per la cura di questa patologia notoriamente radioresistente, in virtù della disponibilità di fasci di ioni carbonio con efficacia biologica 3 volte superiore ai fasci di fotoni e dotati di estrema precisione balistica”. A questo proposito, oltre alle collaborazioni nazionali, in ambito internazionale CNAO è centro di riferimento per la cura con ioni carbonio di pazienti francesi con carcinoma adenoideo-cistico del distretto testa-collo, nello studio randomizzato ETOILE (Vedi neews https://fondazionecnao.it/area-medici/it/news/item/38-partito-studio-internazionale-italia-francia-sull-adroterapia-con-ioni-carbonio?utm_source=newsletter_63&utm_medium=email&utm_campaign=partito-studio-internazionale-italia-francia-sull-adroterapia-con-ioni-carbonio). “La gestione di questi tumori rari richiede competenze oncologiche di alta specializzazione” sottolinea Ester Orlandi, oncologo radioterapista della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori, con alta specializzazione nella radioterapia dei tumori della testa e collo. “Il gruppo multidisciplinare dei tumori della testa-collo dell’Istituto Nazionale dei Tumori, costituito da oncologi radioterapisti, oncologi medici e chirurghi, condivide da tempo la propria expertise integrandola con quella dei colleghi di CNAO, con lo scopo di individuare la migliore strategia terapeutica. La collaborazione tra i due enti, avviata da diversi anni, è sempre più stretta e si è concretizzata recentemente in riunioni settimanali telematiche o in valutazioni di casi clinici presso uno dei due istituti, con condivisione della definizione dei volumi bersaglio radioterapici e del piano di trattamento. Inoltre, l’attività scientifica con l’ideazione e lo sviluppo di studi clinici è in fase di ampliamento”. Reference 1. Hayashi K, Koto M, Demizu Y, et al; Japan Carbon-Ion Radiation Oncology Study Group. A retrospective multicenter study of carbon-ion radiotherapy for major salivary gland carcinomas: subanalysis of J-CROS 1402 HN. Cancer Sci 2018;109(5):1576-82. 2. Koto M, Hasegawa A, Takagi R, et al. Definitive carbon-ion radiotherapy for locally advanced parotid gland carcinomas. Head Neck 2017;39:724-9. 3. Shirai K, Koto M, Demizu Y, et al. Multi-institutional retrospective study of mucoepidermoid carcinoma treated with carbon-ion radiotherapy. Cancer Sci 2017;108:1447-51.
Tumori dell'orofaringe: meno eventi avversi con la protonterapia Tumori dell'orofaringe: meno eventi avversi con la protonterapia I tumori dell’orofaringe sono tra i più comuni carcinomi del distretto cervico-cefalico.La loro prevalenza è in aumento e morbilità e mortalità sono significative. La radioterapia convenzionale, spesso associata a trattamento chemioterapico, è sicuramente La terapia radiante è una componente fondamentale del trattamento dei tumori non metastatici dell’orofaringe. Poiché queste forme di tumore sono curabili e possono colpire anche soggetti relativamente giovani, l’obiettivo della terapia non è solo la sopravvivenza del paziente, ma anche la prevenzione o comunque la riduzione degli effetti avversi correlati, il mantenimento della funzionalità e di un livello soddisfacente di qualità di vita. “In quest’ottica la radioterapia convenzionale con fotoni, per quanto efficace in termini di cura, è associata al rischio di complicanze che possono influire in modo significativo sulla qualità della vita dei pazienti” spiega il professor Lorenzo Preda, responsabile dell’Unità di Imaging Diagnostico del CNAO. “La radioterapia con protoni, invece, grazie alla proprietà fisiche di queste particelle, permette di ridurre la dose di radiazioni che colpiscono le strutture sane circostanti il tumore, che sono particolarmente sensibili. Questo può ridurre il rischio di complicanze e di effetti collaterali associati al trattamento dei tumori dell’orofaringe, mantenendo inalterata l’efficacia del trattamento”. Ridurre gli effetti collaterali grazie ai protoni La radioterapia per il trattamento del tumore orofaringeo può provocare un significativo numero di effetti collaterali, a causa delle possibili risposte infiammatorie a livello locale e sistemico, che può essere valutato anche quantitativamente attraverso la rilevazione – tramite strumenti validati – dei Patient-Reported Outcomes (PROs). Uno studio recente condotto negli Stati Uniti ha messo a confronto gli effetti collaterali– misurato attraverso i PROs – associato alla radioterapia con fotoni a intensità modulata (IMRT, intensity-modulated photon radiation therapy) con quello attribuibile alla protonterapia a intensità modulata (IMPT, intensity-modulated proton therapy). L’ipotesi è che i benefici clinici rilevati per la protonterapia si traducano in migliori PROs per i pazienti che ricevono la radioterapia con protoni rispetto a quelli trattati con la radioterapia con fotoni [1]. I pazienti analizzati nello studio sono stati trattati tra il 2006 e il 2015 con chemioterapia associata alla IMRT o alla IMPT e sono inclusi in registri prospettici. Per rilevare i PROs è stato utilizzato uno strumento validato specifico, il questionario MDASI-HN (MD Anderson Symptom Inventory-Head and Neck Cancer), che è stato compilato dai pazienti nel corso di diverse fasi dello studio: al baseline (prima dell’inizio del trattamento), nella fase acuta (durante il trattamento), nella fase subacuta (entro 3 mesi dalla fine della terapia) e nella fase cronica. Il questionario rileva i cambiamenti nelle condizioni dei pazienti che possono essere correlati ai tumori del distretto cervico-cefalico e ai relativi trattamenti; tra gli aspetti valutati ci sono i effetti collateraligenerali, gli effetti a livello psicosociale, il dolore e le funzionalità. Ai pazienti è richiesta una valutazione della severità dei diversi sintomi nelle 24 ore precedenti la compilazione, con un punteggio che va da 0 (sintomo non presente) a 10. Sono stati raccolti e analizzati i dati relativi ai sintomi individuali e a quelli più severi, ed è stato impostato il confronto tra i diversi trattamenti radioterapici. In totale, sono stati analizzati i PROs per 35 pazienti trattati con chemioterapia più protonterapia e 46 pazienti trattati con chemioterapia più radioterapia con fotoni. I 5 principali effetti collateralirilevati sono stati: problemi ad avvertire il gusto degli alimenti, secchezza delle fauci, difficoltà nella masticazione e nella deglutizione, mancanza di appetito e fatigue. Al baseline, così come nelle fasi acuta e cronica, non sono state rilevate differenze significative nel carico di effetti collaterali tra i due gruppi che seguivano diverse modalità di radioterapia. Invece, nella fase subacuta, i punteggi aggregati ottenuti per i 5 sintomi principali sono risultati migliori per il gruppo trattato con IMPT rispetto a quello in terapia con IMRT (valore medio di punteggio: 5,15 per IMPT vs 6,58 per IMRT). Considerando i singoli sintomi, i punteggi relativi alla percezione del gusto e all’appetito risultano migliori per i pazienti trattati con protonterapia sia nella fase subacuta sia in quella cronica. Gli autori commentano che il carico di effetti collaterali, misurato attraverso la valutazione dei PROs, risulta ridotto nella fase immediatamente successiva al termine del trattamento con l’impiego della protonterapia in associazione alla radioterapia, consentendo una rapida ripresa della normale funzionalità. Questi risultati indicano la necessità di realizzare trial clinici prospettici per valutare meglio l’efficacia della radioterapia con protoni nel migliorare i PROs dei pazienti con tumori dell’orofaringe. Radioterapia con protoni e osteoradionecrosi Tra i possibili effetti avversi della radioterapia per i tumori dell’orofaringe uno tra i più temuti è l’osteoradionecrosi, in quanto può incidere in modo importante sulla qualità della vita del paziente. Uno dei principali fattori di rischio per l’osteoradionecrosi è rappresentato dalla dose irradiata sulla mandibola. Uno studio retrospettivo ha messo a confronto le dosi irradiate sulla mandibola e l’incidenza di osteoradionecrosi in pazienti con tumori orofaringei che avevano ricevuto la radioterapia con fotoni a intensità modulata (IMRT) o la protonterapia a intensità modulata (IMPT) [2]. Sono stati inclusi nello studio 584 pazienti, trattati presso un singolo centro statunitense tra il 2011 e il 2014 per tumori dell’orofaringe, escludendo soggetti con trattamenti radioterapici pregressi nel distretto cervico-cefalico o con tumore primario in siti diversi. In totale, tra i pazienti analizzati, 534 hanno ricevuto la IMRT e 50 la IMPT. Il follow up mediano per tutti i pazienti è di 33,8 mesi. Le dosi minima, media e mediana irradiate alla mandibola risultano più basse per i pazienti trattati con la protonterapia (dose media: 25,6 Gy per il gruppo trattato con IMPT vs 41,2 Gy per il gruppo trattato con IMRT), mentre non si rilevano differenze significative tra i due gruppi per quanto concerne la dose massima. Anche il volume della mandibola esposto alle diverse dosi risulta inferiore nel caso dei pazienti trattati con IMPT. Solo un paziente trattato con la protonterapia (2%) ha sviluppato una osteoradionecrosi di grado 1, a fronte dei 41 casi (7,7%) registrati nel gruppo in terapia con IMRT, 12 dei quali con un evento di grado 4 e 5 con un evento di grado 3. Gli eventi di osteoradionecrosi risultano quindi associati in modo significativo con una più alta dose irradiata alla mandibola.L’impiego della protonterapia permette di limitare al massimo la dose in eccesso che arriva alla mandibola e quindi riduce il rischio di questo importante effetto avverso nei pazienti con tumori orofaringei. Reference 1. Sio TT, Lin HK, Shi Q, et al. Intensity modulated proton therapy versus intensity modulated photon radiation therapy for oropharyngeal cancer: first comparative results of Patient-Reported Outcomes. Int J Radiat Oncol Biol Phys. 2016 Jul 15;95(4):1107-14 2. Zhang W, Zhang X, Yang P, et al. Intensity-modulated proton therapy and osteoradionecrosis in oropharyngeal cancer. Radiother Oncol. 2017 Jun;123(3):401-5.
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